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JP Morgan: dal 2008 672 tagli al costo del denaro

Non c'è un attimo di pace per le banche centrali che dal 2008 in poi si sono trovate a dover mettere mano, più volte, a una situazione internazionale che rischiava di deragliare e che è stata mantenuta nei binari, per quanto possibile e sebbene con risultati mediocri, a forza di acquisti di titoli di stato e Quantitative Easing di varia natura.

Banche centrali: unici interlocutori credibili

A confermarlo è anche un report di JP Morgan Asset Management, pubblicato dal Financial Times alla vigilia delle decisioni della Bank of Japan su eventuali tagli ai tassi di interesse o altri provvedimenti di stimolo monetario, che illustra l'andamento e le dinamiche che hanno contraddistinto le politiche finanziarie e le decisioni circa i numerosi tagli sul costo del denaro. Prima la crisi scoppiata in Usa con il fallimento di Lehman Brothers e la valanga dei subprime propagatasi al resto del mondo, poi, sullo sfondo, una Cina che è ormai in fase calante e purtroppo, complici i dati non sempre oggettivi rilasciati dalle autorità di Pechino, risulta difficile capire persino la reale situazione economica del Celeste Impero, poi la crisi del debito in Europa con la Grecia che ha minacciato (e ancora minaccia, sebbene in maniera molto anestetizzata) la moneta unica, in seguito un'inflazione crollata al minimo e, in alcune zone d'Europa, sconfinata nella deflazione palese, ora il caso Brexit con le conseguenze, ancora difficili da valutare nell'immediato ed oscure anche sul lungo periodo per entrambi i fronti a loro volta zavorrati da una pastoia che per l'Europa è peggiorata con l'evidenziarsi delle tante crepe sul fronte bancario, italiano in primis. Gli interventi delle istituzioni politiche per arginare la crisi sono stati minimi come più volte denunciato da Mario Draghi, governatore della Bce il quale ha spesso incoraggiato i governi ad entrare in azione in maniera più incisiva di quanto fatto finora. Anche se non sempre è stato ascoltato.

L'analisi di JP Morgan

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Ad ogni modo, in particolare per il Vecchio Continente, i banchieri centrali sono stati gli unici punti di riferimento per i mercati e, nel caso specifico della Bce, anche l'unico interlocutore credibile per un'Europa perennemente divisa al suo interno e difficilmente in grado di poter adottare, nell'immediato, una serie di strategie per difendere se stessa, la sua economia e la sua credibilità a livello internazionale. Come si legge nell'analisi di Alex Dryden

“In un ambiente del genere non c'è da meravigliarsi che più di un terzo dei titoli di stato dei mercati sviluppati abbia una resa inferiore allo 0% e il 75% invece, un rendimento al di sotto dell'1%”

Non solo, ma ancora più allarmante è un'altra rilevazione: qualora la Bank of Japan, protagonista dell'esperimento più radicale in questo senso e spinta dalla disperata necessità di portare via Tokyo dal pantano di una deflazione trentennale, decidesse per un taglio dei tassi di interesse, questo sarebbe il numero 673 a livello mondiale. In altre parole, dallo scoppio della crisi le banche centrali internazionali nel loro insieme hanno tagliato il costo del denaro per ben 672 volte, ovvero una ogni 3 giorni di contrattazione. Ma presto potrebbe arrivare, ad incrementare la statistica, anche la Bank of England, questa volta per causa di forza maggiore: leggasi Brexit. E in questo caso sarebbe il primo taglio dal marzo 2009, ovvero da quando si decise di portare il saggio di riferimento allo 0,5%.

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