Annuncio pubblicitario
Italia markets open in 7 hours 45 minutes
  • Dow Jones

    37.775,38
    +22,07 (+0,06%)
     
  • Nasdaq

    15.601,50
    -81,87 (-0,52%)
     
  • Nikkei 225

    38.079,70
    +117,90 (+0,31%)
     
  • EUR/USD

    1,0644
    -0,0002 (-0,02%)
     
  • Bitcoin EUR

    59.779,26
    +1.834,17 (+3,17%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.312,38
    +426,84 (+48,20%)
     
  • HANG SENG

    16.385,87
    +134,03 (+0,82%)
     
  • S&P 500

    5.011,12
    -11,09 (-0,22%)
     

L’erede di Licio Gelli

Giacomo Maria Ugolini (Photo: Carlo Filippini)
Giacomo Maria Ugolini (Photo: Carlo Filippini)

Questa foto sembra dare ragione a Report che lunedì sera su Raitre, illustrando i risultati delle inchieste condotte dai magistrati calabresi sulla connivenza tra criminalità organizzata e massoneria deviata, ha affermato che il venerabile maestro Giacomo Maria Ugolini è stato il recondito prosecutore dell’opera del venerabile maestro Licio Gelli. Nella foto scattata al Cairo nel 1994 compaiono da sinistra il capo di stato maggiore dell’esercizio egiziano, il segretario generale
delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali, il presidente dell’Egitto Hosni Mubarak, e un alto dignitario del governo egiziano. Tutti impettiti davanti a un signore con barba e capelli bianchi, all’apparenza il più disinvolto e sorridente della compagnia: il conte Giacomo Maria Ugolini.

Secondo le indagini iniziate negli anni Novanta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e i procedimenti tuttora in corso nelle aule di giustizia calabresi, Cosa nostra e ’ndrangheta avrebbero realizzato per oltre 30 anni traffici internazionali di ogni tipo, dal mercato della contraffazione a quello delle armi, con la partecipazione attiva per molto tempo di autorevolissimi massoni iscritti alle logge segrete (Loggia La Fenice, Loggia di San Marino, Loggia di Montecarlo) gestite o partecipate dal conte Ugolini. Nella puntata di Report l’inviato Giorgio Mottola ha ricostruito attraverso testimonianze la gigantesca rete che a Ugolini faceva capo e che spaziava dai vertici dei servizi di sicurezza a quelli della politica, con frequentazioni a tutto campo: da Massimo D’Alema a Gianfranco Fini a Gianni Letta, pure se tutti e tre hanno prontamente smentito le
circostanze.

Giacomo Maria Ugolini è scomparso nel 2006. Nondimeno gli effetti del potere da lui costituito, secondo quanto esposto da Report, si avvertirebbero ancora oggi alla vigilia dell’elezione del presidente della repubblica italiana.

Parma, 11 April 1988. Licio Gelli (Photo: STF EPA)
Parma, 11 April 1988. Licio Gelli (Photo: STF EPA)

Le accuse dei pentiti della ’Ndrangheta

Se di Licio Gelli, capo della loggia Propaganda Due, inquisito e condannato, sono state scritte montagne di articoli e libri, di Giacomo Maria Ugolini, sul quale non risultano pronunciamenti della autorità giudiziaria, si è cominciato a narrare solo di recente, ovvero da quando un imprenditore reggino, Cosimo Virgiglio, ha iniziato a collaborare alle indagini condotte dal procuratore Giovanni Bombardieri e il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo di Reggio Calabria e dal pool di
Catanzaro guidato dal procuratore Nicola Gratteri.

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

“Virgiglio era il massone referente delle cosche che, all’interno del porto di Gioia Tauro, ha allacciato rapporti incredibili con pezzi dello Stato. Era addirittura in contatto con personale del Sisde” si legge nell’inchiesta “Loggia Nostra” pubblicata dal mensile Millennium. Sentito come testimone al processo “‘Ndrangheta stragista” Virgiglio ha illustrato come ‘ndranghetisti e mafiosi di Cosa nostra entrarono in contatto con il cosiddetto “sistema Ugolini” riferito appunto a Giacomo Maria Ugolini. “Era al di sopra della Propaganda due – ha spiegato il collaboratore di giustizia – Era un sistema complesso, formato da persone molto influenti a livello internazionale”. Come dire che lo scioglimento della P2 è stato solo apparente perché “il conte Ugolini era riuscito a coinvolgere un potere, dove oggi neppure la magistratura può entrare, e cioè lo Stato Vaticano – sostiene Virgiglio – Non c’è più la possibilità di essere indagati. Quindi, era al di sopra, lui aveva in mano la notizia, lui aveva in mano i servizi di sicurezza, lui sapeva come accorpare i poteri, ecco”.

La loggia coperta di Ugolini secondo le rivelazioni del pentito calabrese consentiva alle mafie di mettere al sicuro i soldi sporchi attraverso “sistemi molto sofisticati di investimenti: quelli delle finanziarie sammarinesi, tipo la FinGestus. Questi soldi finivano là. – ha riferito Virgiglio ai giudici della Corte d’Assise di Reggio Calabria – Una volta che erano al sicuro, venivano utilizzati in forme
di investimento, in altri settori legalmente riconosciuti. Se io alla criminalità prendo e la accontento con i reinvestimenti dei loro capitali, loro di controparte a me dovranno dare i loro pacchetti elettorali, che non sono concentrati o in Sicilia o in Calabria, ma in tutto il territorio in cui loro hanno un proprio focolaio. Il sistema Ugolini voleva il consenso dei voti durante il periodo elettorale. Questo era il cambio”.

Dal Medio Oriente a San Marino

Ma cosa accomunava Ugolini con la Repubblica di San Marino, con le massime autorità dell’Egitto e con il segretario generale delle Nazioni Unite? Un incarico diplomatico. Giacomo Maria Ugolini è stato per quasi quindici anni ambasciatore di San Marino per l’Egitto e il regno Hashemita di Giordania. E Boutros Boutros-Ghali, era egiziano e suo buon amico.

A San Marino il cognome Ugolini è diffuso. E all’inizio degli anni Novanta al futuro ambasciatore le autorità del Titano riconobbero la cittadinanza grazie alla nonna materna, residente a Modena ma nata sammarinese. Ugolini non era al suo primo incarico diplomatico. Per anni aveva ricoperto il ruolo di Gran Referendario, ovvero ambasciatore unico, del patriarca greco-melchita Maximus V, arcivescovo a capo delle comunità cattoliche del Medio Oriente. Il primo dei governanti sammarinesi a incontrare Ugolini fu l’avvocato Alvaro Selva, comunista, segretario di stato agli Affari interni in un esecutivo all’insegna del compromesso storico: una coalizione tra democristiani e comunisti inaugurata nel 1986.

Il presidente Sandro Pertini in visita alla Repubblica di San Marino con il segretario di stato Alvaro Selva, 1984. (Photo: Carlo Filippini)
Il presidente Sandro Pertini in visita alla Repubblica di San Marino con il segretario di stato Alvaro Selva, 1984. (Photo: Carlo Filippini)

Il discusso crocifisso di Michelangelo

“Era il momento in cui i socialisti collocati all’opposizione chiedevano ai craxiani di Roma di giocare di sponda per ritornare al governo. – racconta Selva – Era cresciuta così l’intransigenza da parte dell’ufficio doganale italiano nei confronti delle operazioni di scambio merci con San Marino, un modo per esasperare la politica e spingerla a nuovi equilibri. Ugolini a quell’epoca era il rappresentante diplomatico del Patriarcato di Antiochia. Mi suggerirono che avrebbe potuto darci
una mano perché molto ben introdotto nel ministero delle Finanze. Andai a trovarlo nella sua villa di Casal Palocco, sul litorale romano. Fui accolto da una scorta della polizia italiana comandata da un capitano. Ad attendermi c’erano lui e il direttore generale delle dogane. Fu una serata all’insegna della cordialità e dei convenevoli verso San Marino, ma prima di metterci a tavola Ugolini volle mostrarci un oggetto straordinario: quel croceiisso ligneo attribuito a Michelangelo di cui ancora oggi si discute, dentro e fuori le aule di tribunale: vero o falso? I pareri degli esperti restano contraddittori”.

Come arrivaste a nominarlo ambasciatore?
“Chiedemmo informazioni. – risponde l’avvocato Selva – Qualcuno ci fece avere un dossier verosimilmente confezionato da un apparato d’intelligence. Terrificante. Secondo quelle carte a occuparsi di lui erano diverse questure, Criminalpol, Interpol, sospettato o accusato di nefandezze varie, dal traffico di armi al porto abusivo di abito talare. Ci esposero che il patriarca Maximus V era molto anziano e che Ugolini, certo che il successore non gli avrebbe rinnovato l’incarico di ambasciatore, corteggiava San Marino per mantenere grazie a noi il passaporto diplomatico”.

E l’avete accontentato nonostante quelle pessime referenze?
“I fatti dimostravano un’altra realtà. Due volte tornai a casa sua e due volte cenai con dirigenti dei servizi di sicurezza che si dicevano disponibili a fornire tutto l’aiuto possibile a San Marino. Lo presentai agli altri membri di governo: conquistò tutti, dal segretario del mio partito ai colleghi democristiani. Era sempre circondato da personalità italiane e internazionali, dirigenti ministeriali, alti prelati stranieri, era molto amico anche di don Pierino Gelmini, fondatore della comunità Incontro per il recupero dei tossicodipendenti e dell’arcivescovo esorcista Emmanuel Milingo. Finimmo per convincerci che quel dossier di infamie su di lui fosse cartaccia”.

L’alleato alle Nazioni Unite

“È vero, eravamo tutti entusiasti di lui, noi democristiani almeno quanto i comunisti – conferma Marco Podeschi, all’epoca uno dei giovani rampanti del partito dello scudo crociato – Ugolini sfoggiava un giro di conoscenze apicali, soprattutto al ministero delle Finanze. Ci fece incontrare molte autorità di diversi settori, tutti strategici per la nostra Repubblica. Un esempio: nel marzo del 1992 San Marino entrò a far parte quale membro effettivo delle Nazioni Unite e Ugolini se ne attribuì l’intero merito. In realtà la nostra diplomazia aveva lavorato da tempo e con indiscutibile efficacia a quel risultato. Ma era pur vero che lui poteva ostentare un affabile rapporto con Boutros Boutros-Ghali, segretario generale dell’Onu”.

Ugolini vantava anche molte solide amicizie ai vertici dei servizi segreti, persino Nicolò Pollari, direttore del Sismi, l’intelligence militare italiana. “Vero anche questo – dice Podeschi – Presentato da Ugolini, Pollari nel giugno del 1995 venne a San Marino per ricevere la croce di cavaliere dell’Ordine equestre di Sant’Agata. All’epoca non era ancora direttore del Sismi ma capo di Stato maggiore del comando generale della Guardia di finanza. Insomma un’autorità preziosa per la nostra realtà sempre nel mirino delle fiamme gialle italiane”.

“L’ingaggio di Ugolini ha rappresentato una svolta rispetto alle consolidate abitudini di cautela, al senso di diffidenza che ci ha storicamente accompagnati – aggiunge Alvaro Selva - Ugolini ha portato in Repubblica tante persone, magari anche utili, che a loro volta ne hanno introdotte altre. È da quel momento che abbiamo sentito parlare sistematicamente di infiltrazione di spie, di logge
massoniche irregolari, di compagnie di giro pericolose”.

Tutti i grembiulini del Titano

Prima dell’arrivo di Ugolini i massoni sammarinesi erano così pochi da non riuscire a formare una propria loggia. Due di loro erano dichiarati: Federico Micheloni, medico e direttore sanitario dell’ospedale e Domenico Bruschi, funzionario bancario e più volte campione europeo di aeromodellismo. Entrambi aderenti alla loggia di Pesaro.
Con Ugolini i grembiulini di colpo prolificarono, ma nella confraternita del Titano i sammarinesi erano in minoranza: qualche politico, qualche professionista. La maggioranza veniva da oltre confine. “Non sapevo nulla di massoneria, se non che a San Marino a farne parte erano storicamente personaggi stimati come il professor Federico Micheloni e Domenico Bruschi, già presidente del Comitato olimpico – racconta un neofita dell’epoca che ha chiesto di rimanere anonimo – Ero curioso, volevo capire e Ugolini me la prospettava come una straordinaria opportunità per acquisire inconsuete esperienze culturali, un’alleanza etico-morale tra uomini davvero liberi”.

Lei accolse l’invito. Rimase sorpreso nel non trovare poi accanto a sé Micheloni, né Bruschi? “No. Mi era stato anticipato che si trattava di una loggia speciale, un’obbedienza esclusiva, di carattere internazionale, nonostante si chiamasse proprio Loggia di San Marino. Una cinquantina di accoliti in tutto, solo quindici del nostro territorio. C’erano industriali che venivano da Roma e Milano, spesso con aerei personali parcheggiati a Rimini; c’erano un francese, qualche militare, molte persone interessanti, intelligenze vivaci, eloquio ricercato. Ci riunivamo una o due volte al mese, quasi sempre in un tempio ubicato nella rocca di San Leo, la prigione del conte di Cagliostro: un rituale enfatico e meticoloso con simbolismi architettonici e geometrici e poi spadini, insegne, un mantello con cappuccio che Ugolini chiamava ‘cocolla’ sopra all’indispensabile smoking. Quindi tutti a cena in una sala riservata dell’Osteria Belvedere. In alternativa le tornate avvenivano in un salone appartato del Grand Hotel di Riccione”.

Una loggia solo gastronomo-esoterica o prendevate anche iniziative risolutive?
“Non ricordo iniziative, ma conferenze per istruire i membri sui simboli massonici, dissertazioni di filosofia, gnoseologia, ovvero l’analisi dei limiti della conoscenza umana, mai un confronto o riferimenti sulla religione. Ugolini tuttalpiù manifestava un’esaltante passione per l’arte: andava fiero del suo crocefisso ligneo attribuito a Michelangelo anche in virtù di una perizia – più volte contestata, anche recentemente dal consulente tecnico nominato dal Tribunale di Rimini - di padre Heinrich Pfeiffer, docente di arte sacra alla Pontificia Università Gregoriana. Rammento che Ugolini voleva a tutti i costi portare in mostra a San Marino la maschera funeraria del faraone egizio Tutankhamen, a sua detta per esaudire un travolgente desiderio di Boutros-Ghali. Ma sorgeva un problema di superstizione: quell’antico manufatto si trascina da sempre dietro
un’opprimente fama di porta-sventure. E c’erano due membri del governo sammarinese che soltanto a sentire nominare la maschera si lasciavano andare ai più volgari degli scongiuri. Così Ugolini fu invitato a ripiegare su un’altra mostra, quella di Giorgio De Chirico, inaugurata nei saloni del nostro Kursaal dal vicepresidente del Parlamento europeo Sandro Fontana alla presenza di numerose autorità italiane, persino il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Luigi Federici. Una straordinaria esposizione, che impegnò allo stremo i militari della gendarmeria per la sicurezza delle 120 opere prestate da musei e privati di tutto il mondo. La mostra ebbe un costo economico giudicato eccessivo: diciamo pure un bagno di sangue, al quale però Ugolini fece in parte fronte personalmente. Si trattava di sue personali iniziative, niente a che spartire con la loggia che si avvitava invece attorno alle solite enigmatiche prolusioni. Dopo due anni di lavori d’officina, così li chiamava Ugolini, deluso e annoiato, dissi basta e abbandonai la conventicola”.

Domenico Bruschi con Mikhail Gorbaciov, ultimo segretario generale del PCUS in visita a San Marino, 1994. (Photo: Carlo Filippini)
Domenico Bruschi con Mikhail Gorbaciov, ultimo segretario generale del PCUS in visita a San Marino, 1994. (Photo: Carlo Filippini)

Il voto contro la P2

Domenico Bruschi, 85 anni, è il più antico massone vivente della Repubblica di San Marino, iscritto dal 1969. “Fui iniziato nella loggia di Pesaro, intitolata a Giuseppe Garibaldi, all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. – racconta Bruschi – Successivamente, assieme a quel galantuomo d’altri tempi di Federico Micheloni, fondammo a Rimini il primo gruppo riconosciuto dal dopoguerra dal
Goi: la Loggia Europa”.

Rapporti con Licio Gelli?
“Mai personali. Una volta vennero a trovarci dei confratelli fiorentini proprio per parlarci di Gelli e chiederci così di sostenere la sua posizione nel dibattito che si era aperto all’interno del Grande Oriente d’Italia. Soltanto un affiliato della loggia riminese, che lo aveva conosciuto e brevemente frequentato, si palesò favorevole. Gli altri, io in testa, contrari. Dicemmo no: la P2 è un centro di potere, non può che nuocere all’immagine della massoneria. E questo molto tempo prima della condanna della società civile nei confronti di Gelli”.

Fu il clamore sollevato dalla loggia costituita a San Marino da Ugolini a spronarvi a fondare finalmente un tempio nella vostra terra?
“Non ho mai voluto conoscere Ugolini. La sua iniziativa ci convinse dell’urgenza di portare ordine in un magazzino di ideali messo a soqquadro da spregiudicate fantasticherie, insomma il rischio di lasciar crescere anche sul Titano una sorta di P2 che cancellasse i precipui ideali della massoneria, consistenti nell’intesa etico-morale tra uomini davvero liberi”.

E nel 2002, secondo la vostra fraseologia, furono innalzate in San Marino le colonne all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. “Sì, una prima loggia – Guaita – poi altre due – Cesta e Montale – per arrivare a formare nel giro di un anno la Serenissima Gran Loggia della Repubblica di San Marino, con al timone, ovviamente, Federico Micheloni”.

Il documento della Loggia massonica dell’Oregon che riconosce la Serenissima Loggia della Repubblica di San Marino. (Photo: Carlo Filippini)
Il documento della Loggia massonica dell’Oregon che riconosce la Serenissima Loggia della Repubblica di San Marino. (Photo: Carlo Filippini)

Un sommergibile nell’Ufficio tributario

Tra logge regolari e coperte non ci sono notizie di incursioni a San Marino di Licio Gelli, forse proprio perché a infiltrare il territorio bastava Ugolini. Lui e Gelli avevano tuttavia un fidato elemento in comune: Giorgio Hugo Balestrieri, ex ufficiale della Marina militare italiana e della Nato, per molto tempo al vertice del Rotary club di New York, iscritto alla P2. Balestrieri e Angelo Boccardelli, segretario personale di Ugolini e Primo Gran Sorvegliante della Loggia di San Marino, sono stati i più stretti collaboratori dell’ex ambasciatore. E in quanto tali sono entrati entrambi nel mirino dei magistrati calabresi che hanno indagato sugli intrecci tra massoneria deviata e criminalità.

Tra le faccende oggetto d’indagine c’era quella della splendida villa di Monte Porzio Catone. Ugolini l’aveva acquistata da Guendalina Ponti, figlia di primo letto del produttore Carlo Ponti, marito di Sophia Loren. La trattativa era finita male, con Ugolini che riteneva di essere stato ingannato. Secondo alcuni collaboratori di giustizia per risolvere la controversia si era rivolto alla ’Ndrangheta, ma anche a un importante prelato del Vaticano e a un agente del servizio segreto civile. Senza peraltro ottenere i riscontri sperati. Un guazzabuglio astruso e tenebroso, come molte vicende che hanno caratterizzato le sue attività.

A San Marino qualcuno ricorda quella incredibile quanto esilarante del sommergibile. “A metà degli anni Novanta Ugolini chiese all’ufficio tributario la vidimazione di una fattura relativa all’acquisto di un sommergibile. – racconta Carlo Filippini, editore e direttore del quotidiano l’Informazione di San Marino – I funzionari sconcertati chiesero lumi al Congresso di stato – il Consiglio dei ministri del Titano – che intimò di bloccare all’istante l’operazione: San Marino non può assolutamente trattare armi e neanche oggetti di precisione in qualche modo attinenti all’industria militare. Figuriamoci un sottomarino!”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.