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La battaglia dell’Iva. Come cambierebbe il carrello della spesa in caso di aumento

Per il prossimo anno il governo ipotizzerebbe una correzione strutturale dei conti di circa 0,6 punti di pil, cioè tra 8 e 9 miliardi.
Per il prossimo anno il governo ipotizzerebbe una correzione strutturale dei conti di circa 0,6 punti di Pil, cioè tra 8 e 9 miliardi.

L’ultimo aumento dell’Iva risale al 2013, quando l’aliquota principale passò dal 21 al 22 per cento. La storia è sempre la stessa: quando un governo ha bisogno di soldi, l’aumento dell’Iva è la strada più semplice da percorrere. Tanto pagano sempre i consumatori finali. Guardando qualche dato, però, i conti non tornano. Almeno non del tutto. Nel 2016 l’erario ha incassato tributi per 472 miliardi. Dopo l’Irpef, che da sola vale 180,6 miliardi, c’è l’Iva, con 124,5 miliardi. L’Iva è l’imposta più evasa: 40 miliardi non versati ogni anno.

Praticamente un terzo dell’Iva viene regolamentare evaso. Non sarebbe meglio, quindi, recuperare parte del maltolto piuttosto che tassare chi l’Iva la paga? Evidentemente è più semplice ritoccare all’insù l’aliquota ma c’entra anche la Commissione Ue e la clausola di salvaguardia. Questa è una sorta di impegno che il governo italiano ha preso nei confronti della Commissione europea sul rispetto di dati target fiscali. In assenza di tagli alla spesa o di aumenti delle entrate entro una determinata scadenza, scattano automaticamente le clausole e i rincari fiscali, aliquote Iva e accise sui carburanti in primis. Semplicemente perché garantiscono il maggior gettito e colpiscono tutti. Un solo punto di aumento dell’aliquota, giusto per rendere l’idea, frutta al fisco più di 4 miliardi l’anno.

In Francia l’aliquota Iva è al 20, in Germania al al 19 e in Canada al 5%. (Reuters)
In Francia l’aliquota Iva è al 20, in Germania al al 19 e in Canada al 5%. (Reuters)

In Italia ci sono quattro aliquote: c’è quella agevolata al 4% per pane, olio e altri alimenti e beni di prima necessità; al 5% sulle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali; quella del 10% su beni alimentari e prestazioni alberghiere e di ristorazione. Chiude il poker dell’imposta sul valore aggiunto quella al 22% che colpisce praticamente tutto il resto e potrebbe diventare presto del 23% con la previsione di arrivare al 25,9% nel 2019. In Francia l’aliquota è al 20, in Germania al 19 e in Canada al 5%. In Europa solo in Svezia e Norvegia l’Iva è più alta, al 25%. Inutile sottolineare come il welfare e i servizi in quei Paesi siano diversi rispetto all’Italia.

Se il governo dovesse ritoccare le aliquote, portando dal 10 al 13% quella sugli alimentari, costerebbero di più prodotti freschi di pasticceria, i cerali per la colazione, la carne, la pizza al ristorante, l’affitto di casa e il treno. I tre punti in più nell’aliquota principale, dal 22 al 25%, farebbero lievitare le spese per sigarette, succhi di frutta, superalcolici, birra, abbigliamento, elettrodomestici e servizi alla persona. Insomma, tutto.