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La Cina accresce il dominio sulle Terre Rare. Usa e Ue sotto schiaffo

Terre rare (Photo: Getty&HP)
Terre rare (Photo: Getty&HP)

L’assillo di Xi Jinping prende forma e assume le sembianze di una nuova, imponente azienda di Stato. La notizia circolava da settimane ma ora, riporta il Wall Street Journal, è arrivato il via libera di Pechino alla ristrutturazione e fusione di alcune società impegnate nell’estrazione e lavorazione delle terre rare per dare vita a un unico colosso che non ha eguali né concorrenti nel mondo. Le terre rare sono materiali considerati oggi sempre più preziosi, e d’altronde Pechino lo aveva capito con largo anticipo se si pensa che già alla fine degli anni Novanta l’allora presidente Deng Xiaoping disse: “Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare”. Xi Jinping non si è allontanato da quella intuizione, poi mutata in ferma convinzione che la Cina dovesse collocarsi in una posizione dominante lungo la catena del valore. Un principio alla base di politiche industriali, sancite dal programma statale Made in China 2025, che hanno indotto la Repubblica Popolare a perseguire negli anni l’obiettivo dell’autosufficienza prima e della supremazia commerciale poi.

Le terre rare sono 17 minerali (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio, Ittrio, Promezio e Scandio) oggi impiegati in una vastità di prodotti. Nei catalizzatori industriali ma pure in quelli delle auto (lantanio e cerio); nel vetro, per schermare dai raggi ultravioletti e nelle batterie e schermi di smartphone e computer; nei laser, fibre ottiche e nelle lampade ad alta efficienza. Ma ci sono altri impieghi che rendono questi minerali sempre più strategici sia da un punto di vista economico e commerciale, sia da quello militare.

Uno dei campi di maggiore espansione è infatti quello dei magneti permanenti - ovvero leghe metalliche composte da ferro e ossidi di terre rare come neodimio e praseodimio prima estratti, separati e poi rilavorati - capaci di generare campi magnetici più performanti e resistenti. Da qui nasce il loro impiego nei motori elettrici dei veicoli di nuova generazione e nelle turbine eoliche, insomma in due segmenti fondamentali per la decarbonizzazione e la contestuale transizione ecologica a cui l’industria globale è chiamata. “I magneti permanenti”, spiega all’HuffPost Alberto Prina Cerai, studioso di sviluppo sostenibile e geopolitica delle risorse presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) e contributor della rivista Pandora, “sono fondamentali per tecnologie low carbon, basti pensare che sono impiegati nel 90% delle auto elettriche vendute”. Anche Tesla ne fa uso. “Ma sono fondamentali anche nell’industria dell’eolico offshore, perché capaci di garantire prestazioni senza eguali”.

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A dispetto del nome, in realtà si tratta di minerali presenti in quantità cospicue nella crosta terrestre. Tuttavia non tutti i giacimenti sono facilmente sfruttabili o più spesso lo sfruttamento non è conveniente e sostenibile economicamente. Oggi la Cina, pur detenendo il 35% delle riserve, può vantare il 60% dell’output degli ossidi di terre rare. “Nel 2010 Pechino aveva una produzione di terre rare del 90%, ma poi per scelte industriali l’ha ridotta, sia per questioni legate all’impatto ambientale, sia per la scelta ragionata di puntare sugli stadi downstream della catena del valore consolidando così il controllo su quel segmento dell’industria”, spiega Prina Cerai.

Il nuovo gigante di Stato del Dragone si chiamerà China Rare Earth Group e nascerà dalla fusione di tre aziende già impegnate nella lavorazione di terre rare, la China Minmetals Corp., la Aluminum Corp. of China Ltd. e la Ganzhou Rare Earth Group Co, nella provincia dello Jiangxi nel sud della Cina. Secondo il WSJ, il colosso statale contribuirà a “rafforzare ulteriormente il potere di determinazione dei prezzi” e al tempo stesso a “evitare le lotte intestine tra le aziende cinesi”. Il gruppo sarà soggetto, come tutte le Soe (State-owned enterprises) alla Sasac, la Commissione speciale per la supervisione e l’amministrazione dei beni che risponde direttamente al Consiglio di Stato, il supremo organismo amministrativo ed esecutivo, e quindi al Partito Comunista Cinese.

Workers transport soil containing rare earth elements for export at a port in Lianyungang, Jiangsu province, China October 31, 2010. Picture taken October 31, 2010. REUTERS/Stringer  ATTENTION EDITORS - THIS IMAGE WAS PROVIDED BY A THIRD PARTY. CHINA OUT. (Photo: China Stringer Network via Reuters)
Workers transport soil containing rare earth elements for export at a port in Lianyungang, Jiangsu province, China October 31, 2010. Picture taken October 31, 2010. REUTERS/Stringer ATTENTION EDITORS - THIS IMAGE WAS PROVIDED BY A THIRD PARTY. CHINA OUT. (Photo: China Stringer Network via Reuters)

In passato la Cina ha più volte usato la minaccia di blocco delle esportazioni come arma di ritorsione per questioni diplomatiche e strategiche. Ad esempio nel 2010 contro il Giappone per una disputa sulle isole Senkaku. Nel 2012 scoppiarono forti tensioni perché la Repubblica Popolare destinò all’export una quota di 30mila tonnellate a fronte di una domanda di 60mila. Ma anche più di recente: nel 2019 Pechino non ha fatto mistero, per la prima volta, di poter usare l’export di terre rare nella escalation della guerra commerciale con gli Usa. “Se un Paese vuole usare prodotti fatti con l’export di terre rare della Cina per contenere lo sviluppo della Cina, il popolo cinese non ne sarebbe contento”, disse due anni fa un portavoce della National Development and Reform Commission (Ndrc), agenzia pianificatrice statale di vertice. Il Quotidiano del Popolo, la voce del Partito Comunista Cinese, lo definì espressamente un “segnale implicito” che la Repubblica non avrebbe esitato a utilizzare le terre rare contro gli Usa sia per la guerra commerciale e sia in merito al contenimento di Huawei.

“In realtà”, dice l’analista Sioi, “un blocco dell’export di Pechino non avrebbe alcun senso. Anche Germania e Giappone producono magneti permanenti di alto valore tecnologico. Il problema è che si tratta di industrie con una capacità di produzione molto più limitata rispetto a quelle cinesi. Non c’è partita. Il vero rischio sulle terre rare per i Paesi occidentali è che la domanda della Cina possa assorbire quasi interamente la capacità di offerta globale, pertanto se non si sviluppano su larga scala industrie di raffinazione e separazione al di fuori della Repubblica Popolare Cinese, qualsiasi progetto minerario non potrebbe andare in porto senza Pechino, che rimarrebbe l’unico mercato di sbocco”.

Bel problema per l’Ue, alla luce degli impegni assunti sul taglio delle emissioni e il raggiungimento della neutralità climatica alla recente conferenza Cop26. E anche del fatto che le terre rare saranno sempre più indispensabili al settore dell’automotive che rappresenta ora circa il 6% di tutta la forza lavoro europea e vale il 7% del suo Pil. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) in uno scenario di sviluppo sostenibile, la domanda di terre rare potrebbe crescere di sette volte nei prossimi vent’anni, se non di più, trainata dallo sviluppo dell’industria delle turbine eoliche in un’ottica di transizione energetica dalle fonti fossili a quelle green. Non solo: questi materiali si prevede verranno utilizzati sempre di più anche nella domotica e nell’automazione, oltre a diversi comparti delle telecomunicazioni e in particolare nei centri di data storage.

Tutti settori cruciali. Ma l’Europa come al solito si è fatta trovare col fianco scoperto e solo di recente si è svegliata dal suo torpore mentre la Cina da più di un decennio conduce le sue aziende per mano verso una maggiore integrazione e razionalizzazione. Già nel 2014 la Repubblica Popolare aveva fatto confluire parte delle sue imprese in sei Soe (le Big Six), frutto di una politica industriale avviata nel 2002.

Nel corso della sua ultima audizione al Parlamento Europeo, il Commissario al mercato interno Thierry Breton ha dovuto ammettere: “L’Europa ha lasciato che si creasse una forte dipendenza da Paesi terzi, siamo troppo dipendenti per le terre rare, il magnesio, il litio, la grafite. Tutte componenti necessarie per realizzare la transizione verde e digitale. Avremo bisogno di 60 volte di più di litio, 15 di più di cobalto solo per le batterie elettriche entro il 2050, il doppio delle terre rare sarà necessario”. Tutte scoperte tardive: “Abbiamo visto che la geopolitica delle catene del valore esiste. I nostri rivali sistemici lo sanno, così la nostra dipendenza è diventata un’arma geostrategica utilizzata contro di noi spesso e volentieri. E questo può avere importanti conseguenze”, ha spiegato Breton. “Lo vediamo con la carenza di semiconduttori e la crisi che stiamo ancora attraversando”.

Il dominio assoluto della Cina è in un numero che è al tempo stesso la cifra dell’approccio avuto per anni dall’Unione Europea verso le questioni che attengono alle sue catene di fornitura: oggi oltre il 90% del fabbisogno dell’Ue di terre rare è soddisfatto dagli approvvigionamenti cinesi. Bruxelles sembra perciò andare alla guerra per la transizione green con le pistole in buona parte scariche. Sebbene infatti i 17 minerali servano alla produzione di beni di larghissimo consumo come telefoni e pc, le quantità impiegate sono ridotte. Mentre è nell’eolico e nell’industria dell’auto elettrica che gli analisti si attendono un boom della domanda per valore aggiunto e volumi nei prossimi anni. Ora la Commissione intende rimediare.

A settembre 2020 l’Ue ha annunciato l’Alleanza europea per le materie prime (ERMA) come parte del piano d’azione sulle materie prime critiche e la pubblicazione dell’elenco delle materie prime critiche. “Questo piano”, spiega l’esperto di materie prime, ”è un primo step. Ma la questione non si può affrontare solo da un punto di vista dell’estrazione. Servono un mercato e una industria di sbocco. Ma di certo, allo stato attuale, le imprese europee non possono nemmeno lontanamente competere con il Ministero dell’industria e dell’Information Technology della Cina. Qui si tratta di affrontare la questione ripensando il modello industriale”.

A mining machine is seen at the Bayan Obo mine containing rare earth minerals, in Inner Mongolia, China July 16, 2011. Picture taken July 16, 2011. REUTERS/Stringer ATTENTION EDITORS - THIS IMAGE WAS PROVIDED BY A THIRD PARTY. CHINA OUT. (Photo: China Stringer Network via Reuters)
A mining machine is seen at the Bayan Obo mine containing rare earth minerals, in Inner Mongolia, China July 16, 2011. Picture taken July 16, 2011. REUTERS/Stringer ATTENTION EDITORS - THIS IMAGE WAS PROVIDED BY A THIRD PARTY. CHINA OUT. (Photo: China Stringer Network via Reuters)

In questo momento in Cina, spiega Prina Cerai, ci sono piu di 200 produttori e solo il 4% è abilitato alla produzione di magneti ad alta performance tecnologica. “Ma si tratta di aziende con una elevata capacità di output, impareggiabile da parte di chiunque. Entro il 2025 secondo le stime di Roskill, la Cina aumenterà di altre 183mila tonnellate di capacità la sua produzione di magneti, che si aggiungeranno alle attuali 300mila”. La Commissione Europea, nel suo rapporto sui materiali critici, ha fissato l’obiettivo di settemila tonnellate di magneti. Più che un gap tra Ue e Cina, un abisso.

Se il Vecchio Continente piange, quello nuovo non ride. Anche gli Stati Uniti si sono accorti tardi del vantaggio acquisito da Pechino sulle terre rare. Per gli americani le preoccupazioni sono soprattutto dal punto di vista militare perché le terre rare sono impiegati nei sistemi di difesa, in alcune tipologie di sottomarini, o negli F-35, nei visori notturni e nei sistemi di guida missilistici. A giugno scorso l’amministrazione Biden ha rilasciato i risultati della sua valutazione sulle vulnerabilità delle sue supply chain e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale e ha trovato quattro punti deboli: la produzione di semiconduttori e dispositivi di microelettronica avanzata; le batterie ad alta capacità, come quelle per veicoli elettrici; i minerali critici e le terre rare; prodotti farmaceutici e principi attivi farmaceutici (API).

Di certo Pechino ha potuto sfruttare, più degli altri, una serie di “vantaggi” che i governi democratici - per fortuna - non hanno. Come quello di aver goduto per molti anni di una più blanda regolamentazione sull’impatto ambientale delle proprie attività industriali e manodopera a buon mercato e pochi diritti. Tuttavia oggi la supremazia industriale della Cina le consente di avere un ruolo di primo piano nella determinazione dei prezzi: “Seguono un orientamento strategico e assecondando l’intento cinese di proteggere la creazione di valore con la produzione di magneti. L’estrazione non dà valore, e infatti il sistema dei prezzi cinesi prevede che non ci sia rimborso sul valore aggiunto dell’export della materia prima, gli ossidi di terre rare. Ma prevede invece un rimborso del 13% sul valore aggiunto ricavato dall’export di magneti”, spiega Prina Cerai. Insomma il Governo induce le imprese a concentrarsi sulla produzione downstream e a esportare magneti, non ossidi, consolidando la sua posizione commerciale, e dando al tempo stesso un vantaggio alle sue imprese “nella produzione di prodotti ad alto contenuto tecnologico”. Un vantaggio che le imprese del Dragone scaricano sui loro clienti: i prodotti europei si rivelano così più costosi del 20-30%. “Questo meccanismo crea un indubbio vantaggio competitivo rispetto alle potenziali compagnie europee e americane che vorrebbero entrare nel mercato. Il problema”, conclude Prina Cerai, ”è che ci si aspetta una crescita esponenziale della domanda di magneti nei prossimi anni, di pari passo con lo sviluppo dell’industria delle turbine eoliche e dei veicoli elettrici. Molti analisti già prevedono un mismatch tra domanda e offerta nel breve termine. La questione cruciale per l’Ue sarà quella di garantirsi forniture stabili. Oppure accettare il fatto di essere dipendenti da Pechino”.

A labourer hoses water into the site of a rare earth metals mine at Nancheng county, Jiangxi province December 21, 2010. China's monthly exports of rare earth metals more than doubled in November to 2,090 tonnes, bouncing back after falling by more than three-quarters in October, data supplied by China Customs Statistics Information Centre (HK) showed. REUTERS/Stringer (CHINA - Tags: BUSINESS) CHINA OUT. NO COMMERCIAL OR EDITORIAL SALES IN CHINA (Photo: Stringer Shanghai via Reuters)

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.