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La Cina sta cambiando, "economia verso un rallentamento strutturale"

LIANYUNGANG, CHINA - OCTOBER 18, 2021 - A worker rushes to produce ordered products at a weaving workshop in Lianyun district of Lianyungang city, East China's Jiangsu Province, Oct. 18, 2021. China's GDP reached 8.23131 trillion yuan in the first three quarters, up 9.8% year on year. (Photo credit should read Wang Chun / Costfoto/Barcroft Media via Getty Images) (Photo: Barcroft Media via Getty Images)

Gli ultimi dati sull’economia cinese mostrano che il Dragone ha rallentato la sua corsa. Nel terzo trimestre (luglio-settembre) il Prodotto interno lordo è cresciuto del 4,9%, ai minimi degli ultimi 12 mesi, dopo il +7,9% del secondo trimestre e contro il +5,2% atteso dagli analisti. In base ai dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica, la crescita congiunturale è stata dello 0,2%, a fronte dell′1,5% dei tre mesi precedenti e dello 0,5% atteso. I fattori contingenti sono diversi, dalla crisi energetica che ha provocato interruzioni di corrente nel cuore produttivo del Paese, fino ai problemi del settore immobiliare, con la crisi del colosso Evergrande sommerso da una montagna di debiti, passando per il solito coronavirus che è tornato ad accendere alcuni focolai. Ma attribuire il rallentamento cinese sono alla contingenza sarebbe un errore, perché il nuovo ritmo di Pechino – avvertono gli analisti – è destinato a restare.

A un livello più profondo, gli elementi di questa frenata sono tutti, in qualche misura, derivanti dal cambiamento che la Cina intende portare avanti, e che è stato suggellato a metà agosto quando Xi Jinping ha parlato di “prosperità sociale” come obiettivo centrale del Paese.

“La Cina sta cambiando: da un modello di crescita solo quantitativa, vuole arrivare a una crescita qualitativamente sostenibile”, spiega ad HuffPost Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano. “Questa mutazione di Pechino – che sarà lenta e difficile – determina un ritmo di crescita più lento, un trend che mi aspetto continui anche in futuro perché siamo di fronte a un fatto strutturale. Abbiamo a che fare con i primi vagiti di un’eventuale nuova Cina – eventuale perché l’operazione, in realtà, è estremamente complessa”.

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Dopo quarant’anni in cui Pechino ha seguito l’imperativo della crescita a qualsiasi costo, si tratta di un cambiamento di approccio enorme, nella politica industriale ed economica del Paese. “Negli ultimi vent’anni l’economia cinese è cresciuta moltissimo, ma ha avuto negli investimenti in infrastrutture una componente preponderante”, sottolinea il sinologo. “La nuova Cina dovrebbe essere un Paese che si sostiene molto di più con la domanda interna: per farlo c’è bisogno di ridurre la sperequazione reddituale e aumentare la propensione al consumo di chi sta già bene, un obiettivo che necessita riforme importanti nel sistema della previdenza e in quello sanitario. I cinesi, ad oggi, risparmiano in buona parte perché non sanno come gestire bene il proprio fine vita”. Va da sé che riformare il welfare - in un Paese da un miliardo e mezzo di persone che sta invecchiando – è un compito gigantesco. Tanto più che la Cina, per la prima volta, si ritrova a non avere più il dividendo demografico: un’urgenza da cui nasce, tra le altre cose, la politica del terzo figlio.

Dal punto di vista della domanda interna, per Xi i dati di oggi non sono tutti da buttare, anzi. Se la crescita della produzione industriale a settembre ha frenato al 3,1%, contro un’attesa di crescita al 4,5%, la ripresa dei consumi ha superato le aspettative: le vendite al dettaglio hanno registrato una crescita del 4,4% a settembre rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, contro un’attesa del +3,3%.

Non sono previste manovre di stimolo per gonfiare il Pil nel quarto trimestre. Secondo gli analisti, Xi sembra disposto ad accettare un parziale rallentamento della crescita, come il prezzo necessario per portare stabilità finanziaria nel lungo periodo. “Tutte queste sfide – osserva Noci - si trovano a doversi confrontare con l’obiettivo di Xi di avere un partito che è sempre più immanente e permanente”: la sua visione, infatti, si basa su una progressiva integrazione del Partito comunista in tutti i gangli dell’economia.

Per la Cina, insomma, gestire questo trade-off non sarà facile. Il crac del colosso immobiliare Evergrande ha accelerato un percorso che il Partito sapeva di dover intraprendere. “A Pechino hanno compreso, finalmente, che il livello di debito era eccessivo”, commenta Noci. “Il real estate è stato un motore di crescita spaventoso per la Cina, arrivando a pesare più di un quinto di tutta l’economia cinese. Ora le recenti vicende - a cominciare dal caso Evergrande – hanno reso evidente la necessità di gestire in modo diverso il settore dell’immobiliare, evitando i processi di indebitamento di prima. Tutto questo, inevitabilmente, impatta in misura significativa sull’economia”.

L’obiettivo per il futuro è puntare sempre di più sull’innovazione, una sfida che però richiede una maggiore apertura del sistema finanziario. Attorno a questa difficile mutazione ruota uno scenario incerto. Le tensioni su Taiwan, i problemi energetici, il Covid di ritorno, la sfida climatica: sono tutti fattori che spiegano questo tipo di situazione.

Per il resto del mondo, la mutazione incerta di Pechino è un processo da osservare con attenzione. “Nello scenario più tranquillo – quello che tutti noi auspichiamo – da questa eventuale nuova Cina nascono ulteriori opportunità per il resto del mondo”, commenta ancora il sinologo. “Già oggi la Cina contribuisce a circa un terzo della crescita del Pil mondiale; se la sua domanda interna cresce e il suo mercato finanziario rimane aperto, abbiamo un motore di crescita fondamentale. Al di là di quello che si dice sul fronte degli aspetti politico-valoriali, una Cina che si arresta è un problema enorme per il mondo. Malgrado ci sia un confronto così muscolare tra Washington e Pechino, gli Stati Uniti rimangono il più grande partner commerciale della Cina su base nazionale. Le imprese americane non hanno seguito i diktat di Trump. Dal punto di vista del business, sostituire un miliardo e mezzo di persone nel mondo, con quelle caratteristiche, è in questo momento impossibile”.

È proprio la consapevolezza di questa osmosi – conclude il sinologo - che dovrebbe spingere tutti gli attori a muoversi con attenzione sui dossier più delicati. “Nessuno dei protagonisti in campo deve esagerare su alcune questioni: ci sono punti di non ritorno – la cosiddetta pistola di Sarajevo – che possono innescare fenomeni del tutto improvvisi e difficilmente arrestabili…”. Taiwan è la pistola di Sarajevo più evidente: dal suo futuro non dipende “solo” la vita dei suoi 24 milioni di cittadini, ma gli equilibri tra le due superpotenze mondiali, entrambe impegnate in un mutamento necessario.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.