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L'accordo OPEC è una scatola vuota. Ora si defila anche l'Iraq

Rischia di affondare prima ancora del varo ufficiale il travagliato accordo per un taglio alla produzione del greggio, messo a punto dai membri del cartello OPEC al vertice di Algeri di settembre e che dovrebbe teoricamente perfezionarsi il 30 novembre al prossimo meeting di Vienna. Alle "eccezioni" già sollevate, per ragioni diverse, da Nigeria, Libia e Iran, si aggiunge adesso la defezione dell'Iraq- secondo maggior produttore dell'area Opec alle spalle dell'Arabia Saudita - che rischia di svuotare di efficacia un piano su cui ancora gravano parecchie incognite.

Le dichiarazioni del Ministro

L'annuncio l'ha dato ieri in una conferenza stampa a Bagdad il ministro iracheno del Petrolio in persona, Jabber Al-Luaibi: il fronte di guerra riapertosi con l'Isis nel nord del paese impone di rivedere i termini dell'intesa che impegna Bagdad nel piano di riduzione delle attività estrattive.

Commentando i nuovi dati della produzione nazionale per il mese di settembre, che vedono la produzione complessiva irachena attestarsi a 4,7 milioni di barili al giorno, il ministro ha appuntato le sue critiche sullo schema provvisorio di ripartizione delle quote che assegna al Paese una soglia inferiore ai 4,2 milioni di barili giornalieri.

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"Noi sosteniamo le politiche e l'unità dell'Opec", ha detto Al-Luaibi, "ma questa non può essere raggiunta a nostre spese." Aggiungendo che il governo di Bagdad si prepara piuttosto ad alzare il ritmo produttivo e ha già invitato le compagnie internazionali che operano su suolo iracheno ad incrementare l'attività estrattiva negli impianti.

E le parole del ministro si aggiungono a quelle di Faleh Al-Amri, a capo della SOMO, la compagnia petrolifera statale del Paese, secondo cui la quota di produzione irachena continua a risentire dei danni causati da anni di conflitti. L'Iraq, ha detto Amri, "dovrebbe produrre 9 milioni di barili se non fosse stato per le guerre".

Secondo i dati forniti ieri, la produzione irachena nelle aree sotto il pieno controllo dell'autorità federale irachena ha registrato una media giornaliera 4228 di barili nel mese di settembre, cui sono da aggiungersi altri 546mila barili estratti nella zona controllata dell'entità semiautonoma del Kurdistan iracheno.

L'intesa di Algeri

Crescono dunque i dubbi sull'intesa raggiunta al meeting dei membri Opec di Algeri a settembre. In quell'occasione, i 14 paesi esportatori afferenti al cartello si erano lasciati con un intesa preliminare di massima, che lasciava intravedere la possibilità di un taglio della produzione complessiva dagli attuali 33 milioni fino a 32,5 milioni di barili al giorno nel 2017, con una riduzione potenziale di 700.000-800.000 barili.

Il tentativo di accordo, il primo in otto anni, è il risultato del crollo dei prezzi che ha fatto precipitare le quotazioni dell'oro nero ai minimi degli ultimi dodici anni a gennaio di quest'anno, mettendo sotto fortissima pressione i bilanci di molti dei paesi dell'area, dal Venezuela all'Arabia Saudita.

Il ruolo dei sauditi

Era stata proprio l'Arabia Saudita ad avviare nel 2014, sul presupposto che la produzione del greggio dovesse regolarsi da sé, la politica "lassista" che ha innescato lo scivolamento dei prezzi. Ora tuttavia i vertici sauditi si trovano a fare i conti con le ripercussioni subite per causa delle loro stesse politiche.

Il crollo dei prezzi ha finito col tempo per pesare proprio su Rihad. Le riserve in valuta estera del paese sono crollate del 20% negli ultimi due anni. Tanto da spingere i vertici sauditi nelle settimane scorse ad annunciare un piano di tagli agli stipendi dei ministri e di riduzione dei benefit per i dipendenti pubblici, che costituiscono i due terzi della forza lavoro del paese.

Il nodo Russia

E alle nuove incertezze interne all'area Opec, si aggiungono le ambiguità dell'atteggiamento di Mosca, l'unico paese produttore non Opec dichiaratosi disponibile a facilitare percorso di stabilizzazione del mercato, ma che continua a fornire indicazioni intermittenti sul suo sostegno al piano.

Un atteggiamento ambivalente, quello russo, confermato ieri dalle ultime dichiarazioni del ministro per l'Energia Alexander Novak. Se da un lato infatti Mosca ribadisce di vedere le ragioni a sostegno di ulteriori misure "per riequilibrare il mercato" e "ridurre la volatilità", dall'altro viene precisato che "è troppo presto per fornire cifre concrete perché il processo di ravvicinamento delle posizioni è ancora in corso."

D'altra parte, al pari degli iracheni anche i russi sembrano proiettati, se si guarda ai numeri, a un rafforzamento piuttosto che a una riduzione della propria capacità produttiva. Gli ultimi dati del Ministero dell'Energia russo mostrano infatti un trend che potrebbe portare dai 534,1 milioni di tonnellate metriche dell'anno scorso a 555 milioni di tonnellate, pari a 11,1 milioni di barili al giorno, nel 2020.

Prezzi del greggio in arretramento

E le nuove notizie non hanno mancato di pesare nelle ultime ore sulle quotazioni. I futures sul petrolio hanno battuto in ritirata durante la sessione asiatica. Il Brent, benchmark globale, arretra ora a 51,59 dollari al barile negli ultimi minuti, in calo dello 0,31%. Ripiega invece verso il supporto dei 50 dollari il WTI, in calo al momento dello 0,47% a 50,6 dollari.

E l'agenzia Bloomberg riporta il parere di Ric Spooner, analista di CMC Market: “L'atteggiamento del mercato in questa fase è orientato ad attendere il reale esito del meeting di Novembre". Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) frattempo, aggiunge l'analista, il greggio rimarrà probabilmente oscillazione in una zona intorno ai 50 dollari "con rischi nel breve termine di scivolamenti verso il basso".

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