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L'analogia fra Green Pass e Shoah è senza senso. Una risposta a Freccero e Agamben

A child, with a David star saying, No Green Pass, during the demonstration against the green pass, that certifies the vaccination against covid 19, after the last decree of the council of ministers, necessary to enter public places, such as offices, schools but also restaurants. Rome (Italy), July 27th, 2021 (Photo by Samantha Zucchi/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Images) (Photo: Mondadori Portfolio via Getty Images)

Pare che l’analogia con le discriminazioni e altri crimini, come le sperimentazioni su umani, della Shoah eserciti un oscuro fascino su alcuni intellettuali impegnati a lanciare l’allarme sui pericoli insiti nelle politiche che i governi hanno approntato e stanno approntando per contrastare la pandemia da virus Sars-CoV-2 . Vaccini, vaccinazioni e correlati pass hanno portato al parossismo paragoni apocalittici e comparazioni con fenomeni ed eventi che evocano l’essenza del male. Tra questi, ovviamente, la Shoah.

Due sono le questioni che voglio qui proporre. La prima riguarda cosa ci dice questo uso della natura delle argomentazioni proposte. La seconda cosa implica per la stessa concezione della Shoah.

Per tale breve riflessione ci tornano utili due interventi, pubblicati entrambi da un importante giornale nazionale, La Stampa, da due intellettuali certo discussi, ma indubbiamente noti e stimati: il mass-mediologo Carlo Freccero e il filosofo Giorgio Agamben. Entrambi fanno riferimento agli stadi iniziali del processo di persecuzione, e quindi discriminazione e segregazione. Freccero, all’interno di una narrazione evocatrice di mali assoluti (le sperimentazioni naziste, l’uso ‘autoritario’ nazista della medicina e della scienza), ma che come ogni narrazione giustappone idee e così suscita immagini e emozioni sfuggendo all’onere della ricostruzione di nessi logico-razionali, avverte del pericolo dei piccoli passi, che cominciano con limitazioni poste alle libertà dei cittadini per poi proseguire chissà sino a dove. Agamben, a sua volta, richiama il fatto che la normativa fascista discriminatoria nei confronti degli ebrei fu realizzata per decreto come il green pass (evidentemente per segnalare come provvedimenti formalmente ineccepibili possano nascondere contenuti inaccettabili, come se il contesto del ’38 in Italia fosse equivalente a quello odierno, ma così scrive). E’ vero che Agamben, prima di procedere a questa analogia («puramente giuridica», così la definisce) premette che le discriminazioni prodotte dal green pass e quelle contro gli ebrei non sono paragonabili. Solo uno stolto potrebbe paragonarle, afferma, e respinge così al mittente le accuse di chi invece ha l’impressione che quel paragone venga spesso avanzato. Ci sarebbe, però, allora da chiedersi perché, nella sua nota rubrica Quodlibet, scriva: «La “tessera verde” costituisce coloro che ne sono privi in portatori di una stella gialla virtuale».

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Tornando alla tesi centrale dei due intellettuali, il punto di caduta del loro ragionamento è che le normative contro gli ebrei e quella del green pass sarebbero entrambe inaccettabili in quanto produttrici, l’una e l’altra, di discriminazioni tra esseri umani, «indipendentemente dalle ragioni addotte» (così scrive esplicitamente Agamben). Purtroppo per le tesi di Freccero e Agamben, proprio qui, in quell’indipendentemente’, si rivela la loro fallacia. E in generale la fallacia della comparazione.

Le limitazioni imposte dal green pass sono legittimamente discutibili e criticabili, ma rientrano in scelte che cercano di rispondere a quella dialettica di per sé impossibilitata a produrre soluzioni definitive e propria delle democrazie, che è la dialettica tra libertà e sicurezza (latamente intesa, nella sicurezza rientra quindi anche la salute pubblica). Che inevitabilmente, nelle sue oscillazioni che assumono la forma delle scelte politiche concrete a confronto, intacca spazi di libertà e rinuncia a garantire una completa sicurezza. La massimizzazione di un valore o dell’altro, semplicemente, distruggerebbe la comunità politica democratica. Le discriminazioni all’inizio del processo della distruzione degli ebrei d’Europa, al contrario, rispondevano alla volontà di ‘liberare’ le società interessate dalle nefaste conseguenze, così si riteneva, della presenza ebraica, dunque da quella stessa presenza. Sappiamo che il processo fu graduale, incrementale e anche caotico, che le soluzioni per le discriminazioni, le deportazioni, le uccisioni furono escogitate nelle contingenze, ma il motore primo di quel processo, Adolf Hitler, aveva già ben chiaro il suo obiettivo. Quello che accadde nei passaggi successivi non fu mera conseguenza di un processo incrementale erratico e inconsapevole, ma pur nella sua caoticità fu guidato dalla volontà di risolvere, una volta e per sempre, nell’orizzonte millenario del Reich, la ‘questione ebraica’. Per questo si arrivò alle camere a gas, agli eccidi delle Einsatzgruppen al seguito della Wermacht che procedeva verso Est, all’uccisione di sei milioni di ebrei. E le misure di paesi in varie forme alleati rientravano in questo processo.

Non si giunse allo sterminio semplicemente perché si era cominciato a discriminare, perché di discriminazioni che non hanno portato a stermini è piena la storia. Sembrerebbe poi superfluo, ma evidentemente non lo è, rammentare che gli ebrei furono discriminati in quanto ebrei, ovvero per il possesso di caratteristiche ascrittive, dalle quali non era loro dato separarsi, ovviamente.

Come è possibile, dunque, evocare le discriminazioni ebraiche per affrontare la discussione su norme che certo limitano le nostre libertà, ma all’interno della dialettica democratica, e soprattutto in assenza di un disegno di trasformazione della società, ma semplicemente in vista della soluzione di una crisi? E’ possibile perché chi propone l’analogia è evidentemente convinto che invece quel disegno esista. Anche se Agamben ritiene le accuse di complottismo, a lui e a chi sostiene tesi analoghe alle sue, accuse «infami», purtroppo la mentalità complottista in questi due articoli, ma anche in altri scritti dello stesso Agamben, emerge. Come altrimenti si dovrebbe definire l’idea di una «Grande Trasformazione»? «Ancora una volta – scrive – tutte queste misure per chi abbia un minimo di immaginazione politica vanno situate nel contesto della Grande Trasformazione che i governi delle società sembrano avere in mente – ammesso che non si tratti invece, come pure è possibile, del procedere cieco di una macchina tecnologica ormai sfuggita ad ogni controllo». E il riconoscimento della possibilità del caso nulla toglie all’idea che una grande macchinazione in realtà possa esistere. E nemmeno privo di immaginazione è Carlo Freccero, che ci spiega che la morte del medico divenuto famoso per la cura basata sul plasma prelevato dagli infettati, Giuseppe De Donno, evoca in lui la morte di Pinelli. Insomma, ‘qualcuno’ avrebbe ucciso il medico eterodosso? I difensori della nuova ortodossia sanitaria? Chiediamo. E come già si notava più sopra, Freccero non esita a mettere nello stesso calderone la somministrazione di vaccini realizzati in tempi relativamente brevi, ma per i quali nessuna tappa di validazione è stata saltata (sul punto è stata molto chiara la dott.sa Antonella Viola sempre su La Stampa), con le sperimentazioni spesso folli, condotte trascinati dall’ideologia della superiorità della razza, disumane oltre ogni immaginazione, del regime nazista. Come se l’ambito di incertezza nel quale inevitabilmente si muovono le vaccinazioni di massa in corso, a fronte ormai dei milioni di morti per la Covid-19, avesse anche solo un micron di realtà in comune con i crimini realizzati su esseri umani e perpetrati avendo già sottratto a questi il riconoscimento della dignità di uomini.

Se dunque, da un lato, si riconosce che le motivazioni alla base delle ‘discriminazioni’ nei due casi sarebbero diverse (ma da questo non si deriva il fatto che proprio quella diversità rende incomparabili i fenomeni), al tempo stesso, dall’altro, non si riesce ad evitare la trappola di attribuire un intento malevolo, comunque dannoso, da parte di potenti, governi, o simili, in entrambi i casi.

Ma se così si conduce il confronto, i tanti temi, interrogativi, dubbi, che la gestione della pandemia da parte delle autorità pubbliche in giro per il mondo, legittimamente criticabili, sollevano, quell’antico dilemma tra sicurezza e libertà che è consustanziale alla democrazia liberale, i nuovi interrogativi che il contemporaneo mondo globale e altamente tecnologizzato pone, non potranno mai essere trattati all’interno di un discorso razionale, non ingolfato da evocazioni di mostri e mostruosità, non viziato dall’idea che fautori del male siano sempre in agguato. Per criticare l’esistente si violenta la verità storica. E se questo accade, è forse perché il problema non è il green pass, non sono le vaccinazioni; questi sono pretesti per una critica radicale del sistema. E per una critica radicale del sistema può tornare utile anche una torsione della realtà. Non è un caso che Agamben e Freccero abbiano steso in bella prosa e in contesti autorevoli convinzioni diffuse tra movimenti estremi e che circolano veloci e virali nei più singolari spazi del web.

Stritolata da questo argomentare rimane la Storia. Rimane stritolato anche il significato della tragedia della Shoah, confuso in una notte dove tutte le vacche sono nere. Lo sterminio degli ebrei d’Europa viene privato del suo spessore storico e le cause di lungo, medio e breve periodo che hanno concorso a produrlo fatte sbiadire sino a non essere più percepibili. Trasformato strumentalmente in un manganello intellettuale, viene ridotto a ‘marchio’ del male, fatto per evocare qualunque male, per attribuire a scelte politiche, decisioni, fenomeni, il marchio, appunto, dell’inaccettabilità assoluta. In questo modo l’evento che ha segnato la Storia occidentale del XX secolo, la coscienza dell’Europa, subisce una radicale banalizzazione. Una banalizzazione che è purtroppo in atto da molto tempo, per cause molteplici e diverse, da un certo tipo di ‘mediatizzazione’ dell’evento invalso nella cultura contemporanea al suo uso politico, strumentale (si pensi alla comparazione tra Israele e il nazismo, molto di moda tra persone comuni, politici e intellettuali). Ora, con questa nuova analogia, che unisce diversi tipi di estremismi, collocati a diverse latitudini, la banalizzazione si sta ulteriormente completando.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.