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Le norme Ue aggravano la carenza d'acciaio: tonnellate ferme nei porti di Ravenna e Marghera

Acciaio (Photo: Getty&HP)
Acciaio (Photo: Getty&HP)

Di acciaio ce n’è poco, quel poco che c’è costa caro e una parte di quello già pronto per essere lavorato è bloccato nei porti per vincoli normativi stabiliti dall’Unione Europea. La situazione con cui in questi giorni stanno facendo i conti gli importatori del metallo industriale è tanto grave quanto “paradossale”: così l’ha definita il presidente dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili, che lunedì ha lanciato un allarme sui pericoli imminenti per il rilancio economico post-Covid: “C’è il rischio concreto che le opere del Pnrr e gli interventi privati relativi al Superbonus non arriveranno nei tempi stabiliti, trasformando in un fuoco di paglia la ripresa in atto”, ha detto Gabriele Buia. Se in larga parte la carenza e i prezzi alle stelle sono un effetto indesiderato dei blocchi produttivi causati dalla pandemia un anno fa, ad aggravare la situazione ci hanno pensato tuttavia le norme europee, aggiungendo dei vincoli che stanno esasperando ancora di più la penuria. Il risultato è che ad oggi, secondo fonti di mercato, circa mezzo milione di tonnellate di acciaio è fermo nei porti di Ravenna e Marghera. Se vuole sbloccarlo, chi lo ha acquistato dovrà pagare un dazio del 25% da aggiungere ad un prezzo del materiale già arrivato oltre i livelli di guardia, come tante altre materie prime.

Le norme europee, adottate dalla Commissione in risposta alla guerra commerciale dichiarata dall’ex presidente americano Donald Trump all’Europa e alla Cina nel 2018, prevedono infatti un tetto massimo all’importazione di alcune tipologie d’acciaio. Sono le cosiddette quote di salvaguardia, ovvero dei limiti trimestrali all’import variabili a seconda dei Paesi di importazione introdotti per tutelare gli interessi delle aziende europee. In altre parole, per non vedere soccombere il siderurgico del Vecchio Continente di fronte al dumping asiatico, si è deciso che non si potesse importare più di una quantità prestabilita di ventisei tipologie di acciaio da un determinato Paese nel mercato Ue. Problema: le quote erano state introdotte quando la pandemia non aveva ancora mostrato tutti i suoi effetti lungo le catene di fornitura.

“L’anno scorso”, dice all’HuffPost Alessandra Riparbelli, presidente della sezione di Ravenna dell’associazione doganalisti dell’Emilia Romagna e vicepresidente dell’associazione spedizionieri Internazionali di Ravenna, “c’è stato un fermo prolungato delle attività per diversi mesi a causa della pandemia. Dopo lo sblocco delle attività produttive, la domanda è esplosa e la merce ha iniziato ad arrivare tutta insieme. Il buco produttivo provocato dalla pandemia ha quindi creato scompensi lungo la catena di fornitura”.

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Le imprese siderurgiche italiane non sono in grado di sostenere da sole il fabbisogno del mercato nazionale. Peraltro alcuni impianti come quelli di Taranto e Piombino versano da tempo in una situazione di sottoproduzione. Ma il punto è un altro: “Noi abbiamo dei contingenti da rispettare”, prosegue Riparbelli. “Basti pensare che per una tipologia di acciaio inox proveniente dall’India abbiamo raggiunto il tetto massimo per l’importazione il 1° luglio scorso”. E il periodo di riferimento scade il 1° ottobre, quando riparte il nuovo trimestre che ‘azzera’ le quote di salvaguardia e si ricomincia daccapo. “Un’altra tipologia di acciaio che ci arriva da Taiwan ha raggiunto il massimo previsto il 25 agosto”, prosegue Riparbelli.

Per non sforare, l’unica alternativa economicamente sostenibile spesso è lasciare ferma la merce nel porto, in attesa dell’inizio del nuovo trimestre per sdoganarla. Nell’area del porto di Ravenna c’è il più grande stabilimento del gruppo Marcegaglia che si estende per oltre 540 mila metri quadrati e occupa poco meno di 900 addetti: qui vengono effettuati vari tipi di lavorazione dell’acciaio: dalla laminazione a freddo alla zincatura, fino alla spianatura e taglio dei coils, i “rotoli” d’acciaio.

“Per ora”, dice Riparbelli, “non ci sono problemi di magazzino perché fortunatamente a Ravenna abbiamo molto spazio nel retroporto. Ma lo spazio non è infinito e non si potrà poi moltiplicare”. Le banchine per far scaricare le navi, e il personale dell’organico che ci lavora, è lo stesso di sempre, a fronte di grandi quantitativi di metalli e materie prime arrivati dopo la ripresa delle attività economiche. Ma è l’acciaio il materiale più critico in questo momento: “Di recente, per fare un esempio, qui a Ravenna hanno sdoganato dalle ottomila alle 10mila tonnellate in un solo giorno”.

Secondo Gianni Alberti titolare della Seaway, una delle realtà italiane più importanti nel settore delle spedizioni, “la situazione è destinata a rimanere critica fino al primo di ottobre quando entreranno in vigore le nuove quote all’import”. Per l’Ance è arrivato il momento di “sospendere i vincoli all’importazione dell’acciaio”. ”È un paradosso inaccettabile”, secondo il presidente Buia, che ci siano dei blocchi all’import in un momento generale di grave carenza. L’associazione ha chiesto al governo di farsi portavoce in Unione Europea “per una sospensione delle quote per non dare ulteriore spazio a speculazioni sui prezzi che già stanno mettendo in ginocchio le imprese e garantire il proseguimento della ripresa delle attività economiche”.

Tenere ferma la merce nei porti in attesa che scada il termine per sdoganarli tuttavia non tutela certo le tasche degli importatori italiani. Perché ci sono i costi di magazzino da pagare, e soprattutto dei contratti stipulati con i clienti da rispettare.

Un’alternativa, in realtà, ci sarebbe: pagare il dazio del 25%. Ma è una scelta dolorosa che si cerca di rimandare fino a quando la necessità non si impone. Il trend dei prezzi delle materie prime al rialzo non riguarda solo l’acciaio ma è generalizzato e rappresenta oggi la più grave minaccia alla ripresa post-Covid: tra novembre 2020 e luglio 2021 il pvc è aumentato del 73%, il rame del 38%, il legno di conifere del 76%, il polietilene più del 100%. Quanto all’acciaio, il prezzo del tondo per il cemento armato è aumentato del 243%, una tonnellata di inox ha toccato i quattromila euro per tonnellata, mentre il laminato a caldo sul mercato europeo prezza duemila euro per tonnellata, per fare qualche esempio.

Cifre monstre che già ora stanno mettendo in grave difficoltà chi se ne serve per le sue attività produttive. Come ha detto qualche giorno fa il vicepresidente Ance Edoardo Bianchi all’HuffPost, “di questo passo l’aumento dei prezzi può avere un impatto anche sull’attuazione di molti progetti finanziati dal Superbonus. Chi diversi mesi fa ha presentato offerte per i primi progetti edilizi, ha fatto i conti basandosi su costi di fornitura molto più bassi rispetto a quelli che stiamo vedendo in queste settimane. Se i prezzi continuano a salire, il rischio di un blocco dei cantieri è reale”.

“Alcuni imprenditori alla fine decidono di buttare giù la pillola amara”, prosegue Riparbelli. “L’acciaio è un materiale che, al di là della volatilità del prezzo di mercato, ha comunque un valore duraturo. In questo momento come per tutte le materie prime, il prezzo è salito di molto e si aggiunge ai noli per il trasporto anch’essi arrivati a livelli altissimi. Pagare anche un dazio del 25% per lo sdoganamento a causa della normativa vigente rende ancora più insostenibile la situazione per gli importatori. E alla fine il rischio è che questi sovrapprezzi verranno scaricati sui consumatori. Come sempre, poi, gli effetti arrivano a valle, perché è chiaro che le imprese in un contesto di carenza e caro materie prime non possono sobbarcarsi da sole anche questi extra-costi”.

La congestione dell’acciaio nel porto di Ravenna è ben fotografata dai numeri forniti da Riparbelli: tra gennaio e luglio, le movimentazioni dell’acciaio hanno rappresentato circa il 26% nel complesso di tutte le attività merceologiche. L’agroalimentare, per dire, “soltanto” il 17%, il chimico il 3%, la merce rotabile il 5%, i concimi il 6% mentre i materiali grezzi per costruzioni, in cui ci sono anche un po’ di metalli vari, ben il 21%. Non solo: solitamente agosto, causa fermi produttivi delle imprese per ferie, è uno dei mesi più ‘scarichi’ dell’anno, di merce se ne vede poca o comunque molto meno rispetto agli altri mesi dell’anno. “Su agosto abbiamo stimato per ora una crescita del 40% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. A luglio 2021 abbiamo visto il 35% di acciaio in più rispetto a luglio 2020, per i minerali grezzi la crescita è stata del 51,6%”.

Il mese d’agosto dice molto di quale sarà l’andazzo nei prossimi mesi. Perché una volta iniziato il nuovo trimestre, ci sarà la corsa per sdoganare tutto l’arretrato, col rischio che le quote si esauriscano nuovamente nell’arco di poche settimane come è accaduto durante l’estate. Le tensioni sul mercato dell’acciaio sono perciò destinate a durare, a meno che non si intervenga a livello europeo. Altrove, molti sono già corsi ai ripari. Come la Cina, tra i maggiori fornitori di acciaio al mondo, che il mese scorso ha rimosso gli incentivi all’export di prodotti siderurgici laminati a freddo e zincati e al tempo stesso ha alzato i dazi sull’export di ghisa (al 20%) e ferrocromo (al 40%), quest’ultimo componente fondamentale per la produzione di acciaio inossidabile. Il senso delle decisioni commerciali adottate da Pechino è facilmente intuibile: rafforzare l’offerta interna di acciaio e raffreddare i prezzi a vantaggio delle attività industriali domestiche.

L’Europa invece è andata in tutt’altra direzione. Le quote all’import su 26 prodotti dell’acciaio vennero introdotte tre anni fa, nel pieno della guerra dei dazi. Sono scadute quest’anno, ma a giugno scorso la Commissione ha deciso di prorogarle per altri tre anni nonostante le forti tensioni sul mercato delle materie prime fossero già evidenti. I tempi, rispetto a tre anni fa, sono cambiati, ma a Bruxelles non sembra se ne siano accorti.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.