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Le nuove regole Ue "assumerebbero" solo il 6% dei riders

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Sono 28 milioni i cosiddetti lavoratori autonomi delle piattaforme online in Europa. Di questi, circa 5 milioni e mezzo, cioè il 20 per cento del totale, si ritrovano probabilmente in una categoria sbagliata: autonomi quando invece dovrebbero essere riconosciuti come dipendenti a tutti gli effetti. Ma solo 1 milione e 700mila, secondo le stime di Bruxelles, potrebbe riuscire a ottenere il riconoscimento di lavoratore dipendente per effetto delle nuove norme approvate ieri dalla Commissione Europea in quello che è un tentativo di riconoscere diritti in un settore ormai centrale nelle nostre economie, eppure ancora legato ad un andazzo da ‘far west’.

La montagna partorisce il topolino, visti i numeri? Non del tutto. Il piano von der Leyen resta ‘rivoluzionario’ perché ribalta l’onere della prova quando aziende come Uber o Deliveroo finiscono in tribunale per effetto delle denunce dei loro autisti o corrieri che vorrebbero essere riconosciuti come dipendenti. Secondo la proposta di Bruxelles, non spetterà più al lavoratore dimostrare di essere sottoposto a turni, di lavorare fianco a fianco con altri colleghi o di esibire altre prove che attestino il proprio stato di dipendente e non di lavoratore autonomo. Spetterà invece all’azienda dimostrare il contrario. Un cambiamento non da poco, che per ora però non scatena né le piattaforme online prese di mira, né gli Stati del nord Europa più liberisti e inclini a difendere le prerogative del libero mercato. Perché?

Non solo perché riguarderebbe una platea ridotta di lavoratori, salvaguardando sia l’interesse dell’azienda a non assumerli e sia la volontà di quei lavoratori intenzionati a restare autonomi. Ma anche perché il nuovo regolamento dipende e dipenderà dalle decisioni che vengono e verranno prese a livello nazionale: da parte dei governi o anche per effetto delle decisioni della magistratura quando cause del genere finiscono in tribunale. E ce ne sono tante, sempre di più tanto da indurre la Commissione Europea ad agire. Insomma, la camera di compensazione delle nuove regole sta sempre negli Stati nazionali, che hanno la competenza legislativa per decidere come e se regolamentare il mercato. Non solo gli Stati, ma anche le autorità giudiziarie nazionali.

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Per esempio, è notizia di ieri che il tribunale del lavoro del Belgio ha respinto le richieste del revisore del lavoro belga, dell’Ufficio nazionale di previdenza sociale, dei sindacati e di alcuni corrieri contro l’azienda di consegne a domicilio ‘Deliveroo’. I giudici di Bruxelles hanno stabilito che non è necessario riclassificare come contratto di lavoro dipendente il rapporto tra il rider e la società perché non ci sarebbe un vincolo di subordinazione, i lavoratori “non sono limitati nella libertà di organizzare il loro lavoro” o il loro orario di lavoro e non ha trovato “alcun elemento rivelatore dell’esercizio concreto del potere gerarchico” da parte della piattaforma. All’opposto c’è il caso spagnolo, dove il governo ha riclassificato i lavoratori delle consegne a domicilio come dipendenti.

Dunque, tutto come prima? E perché la Commissione Europea si è sentita in obbligo di agire presentando una proposta ad hoc? Da Palazzo Berlaymont spiegano che è stata la stessa presidente von der Leyen a volere un intervento del genere, basato sull’articolo 16 del Trattato dell’Ue secondo cui “l’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri”. Inoltre i tecnici della Commissione hanno elaborato la proposta “analizzando i vari casi giudiziari di settore che si moltiplicano in Ue”. Dunque, la scelta di intervenire.

Sostanzialmente, la proposta elenca cinque criteri in base ai quali un rapporto di lavoro autonomo dovrebbe essere riclassificato come subordinato. Eccoli: “livello di remunerazione o fissazione di limiti massimi; se c’è vigilanza sull’esecuzione del lavoro con mezzi elettronici; se l’azienda limita la libertà di scelta dell’orario di lavoro, dei periodi di assenza, della possibilità di accettare o rifiutare incarichi o avvalersi di subappaltatori o sostituti; se ci sono specifiche norme vincolanti in materia di aspetto, comportamento nei confronti del destinatario del servizio o esecuzione dell’opera; se esistano limiti alla possibilità di creare una base di clienti o di eseguire lavori per terzi”.

È sufficiente che siano soddisfatti almeno due di questi criteri - soprattutto “se il lavoro viene commissionato esclusivamente tramite app, da un algoritmo disumanizzante”, sottolineano gli esperti della Commissione - per concludere che si potrebbe trattare di lavoro dipendente ‘mascherato’ da lavoro autonomo.

“Quando una piattaforma esercita un certo grado di controllo sulle persone che svolgono il lavoro attraverso di essa, si ‘presume’ che la piattaforma sia un datore di lavoro - scrive la Commissione - Ciò significa che le persone che vi lavorano nelle stesse condizioni saranno ‘presumibilmente’ lavoratori. La proposta di direttiva chiarisce che la corretta determinazione della condizione lavorativa dovrebbe basarsi sul principio del primato dei fatti, cioè guidata principalmente dai fatti relativi all’effettiva prestazione lavorativa e alla retribuzione, tenendo conto dell’utilizzo di algoritmi in piattaforma lavoro, e non da come il rapporto è definito nel contratto”.

Si tratta di una proposta ispirata dal caso dei ‘riders’, protagonisti di diverse cause legali in tutta Europa (una delle ultime in Italia è quella di Milano, dove è finita con una multa di 15mila euro più gli investimenti sulla sicurezza per le piattaforme Glovo, Foodora, Just Eat e Deliveroo, a fronte di una richiesta iniziale del pm di 733mila euro di ammenda), ma la proposta europea è applicabile anche ad altri campi. “Anche ai giornalisti ‘falsi’ freelance”, dicono dalla Commissione Europea, riferendosi a quei giornalisti non assunti che però lavorano in maniera continuativa per una sola testata. Lavoro che a tutti gli effetti potrebbe e dovrebbe essere riclassificato come lavoro dipendente e non autonomo.

Von der Leyen compie un passo più che simbolico, schierando la Commissione Europea in quella che è anche una battaglia politica. Dalla stessa parte della barricata, il Parlamento europeo che a settembre ha approvato una risoluzione sulle piattaforme digitali. “Lavoro autonomo o no: dovrebbero essere i datori di lavoro a dimostrare che non c’è un rapporto di lavoro, non i lavoratori”, è uno dei punti fondanti del testo. Ma ora la parola spetta agli Stati, non solo per l’approvazione in Consiglio Europeo ma per le normative nazionali da approvare per riconoscere davvero i diritti quando è il caso che siano riconosciuti. Niente cambia in un giorno, men che meno per effetto di una proposta di Bruxelles.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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