L'era dello streaming online: la tua cultura è tutta in affitto
In un tempo molto lontano bastava entrare in una cameretta o in un salotto ‘pieno’ per trovare pile di cd musicali, scaffali colmi di libri, cassetti pieni di film (VHS per i più anzianotti, DVD per tutti gli altri). Il mondo è però radicalmente cambiato da quei tempi, grazie all’enorme popolarità acquisita dai servizi streaming e on demand.
Vedere un film in streaming è più simile a una visione in sala cinematografica, perché in entrambi i casi non c’è certezza di rivedere la pellicola in tempi brevi. Nel caso del cinema vero e proprio, bastano un paio di settimane di programmazione per veder scomparire un film dalla scaletta; nei servizi di streaming e on demand il film può durare mesi, o anni, ma la sua presenza nel listino non sarà mai certa al 100%.
La musica è invece legata a servizi come Youtube e Spotify, e in questo caso il servizio di streaming sparisce in mancanza di banda. Semplice: non c’è modo di sentire le tue canzoni preferite offline, senza avere in mano una copia del cd (e un supporto per leggerla, evidentemente) o una copia digitale della canzone. Anche i videogiochi vanno verso la soluzione in streaming: non compri più il disco ‘fisico’, perché la connessione online è il fulcro di qualsiasi nuova piattaforma di gioco. Se vogliamo anche i libri hanno una dinamica simile, seppur in questo caso la carta sia ancora la preferita per il suo altissimo valore affettivo: un libro letto on demand, ma non acquistato, è anche in questo caso la fine della proprietà della cultura.
La differenza fondamentale è che i beni digitali possono scomparire in un battito di clic; il tuo scaffale con cd e film no di certo. Quando si compra una canzone in streaming, non è un vero e proprio acquisto; stai comprando l’accesso alla musica, non la musica in sè. Concetto contorto, ma con casi pratici. Un esempio? Microsoft chiuderà la sezione ebook del Microsoft Store, togliendo agli utenti l’accesso a tutti i libri acquistati.
Il problema più grave non è tanto la fine della proprietà della cultura, che cambia sostanzialmente solo la composizione dell’arredamento nelle nostre case; ma la fine di una cultura (condivisa) che attraverso i supporti fisici metteva radici. Pensiamo ad esempio alla saga di Don Camillo: senza le VHS e i DVD di quei film, nessuno si ricorderebbe più di un notevole spaccato dell’Italia di metà novecento. Il motivo? Lo streaming di quel film potrebbe essere cancellato, o i diritti mai più acquistati: l’oblio diventerebbe più rapido che mai, fino eventualmente a una cancellazione totale delle tracce.
I film, i videogiochi, la musica e i libri nati solo per essere concepiti in digitale corrono il rischio di essere manipolati dai proprietari delle piattaforme sulle quali vengono offerti, e ovviamente ciò è una perdita culturale. Come risolvere il guaio? Serve un intervento politico, che metta le piattaforme di streaming e on-demand nella condizione di spiegare meglio agli utenti cosa davvero stanno comprando, e di avere la certezza che la cultura non venga dispersa o bloccata nelle mani di pochi.
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