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L'Italia parte con la terza dose. Esperti ancora divisi sulla platea

(Photo: Donato Fasano via Getty Images)
(Photo: Donato Fasano via Getty Images)

Al via da oggi in Italia la somministrazione della terza dose di vaccino anti-Covid. La dose aggiuntiva, almeno per ora, non riguarda tutti i cittadini, ma solo quelli che hanno presumibilmente una protezione immunitaria più bassa o sono esposti a rischio: pazienti fragili, over 80, ospiti delle Rsa e operatori sanitari. Nella pagina del governo che tiene il conto delle vaccinazioni, si aggiunge dunque una nuova voce, quella della dose aggiuntiva o richiamo. Le altre due voci, ciclo vaccinale totale e almeno una dose, sono rispettivamente a 40.997.762 (75,91 % della popolazione con più di 12 annu) e 44.272.742 (81,97 % della popolazione over 12).

Su quanto estesa debba essere la platea della terza dose, però, gli esperti non sono tutti d’accordo.

Per Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario IRCCS Galeazzi di Milano, la prospettiva potrebbe essere quella di un “richiamo universale”. “Si sta cominciando con gli immunodepressi, cosa diversa da quello che si farà nel prossimo futuro in termini di richiamo per le persone più a rischio. Si sta prendendo atto che c’è la necessità di fare una dose ulteriore, una schedula a tre dosi per le persone immunodepresse e la terza dose si potrà fare già a 28 giorni dalla seconda perché si tratta proprio di un ciclo di conferma e di rinforzo”, ha dichiarato il virologo intervistato da Cusano Italia Tv. “Nel breve periodo però è stato già deciso di dare un rinforzo, un richiamo forse periodico, quindi non terza dose in senso stretto, per le persone più anziane, in particolare chi è ricoverato nelle Rsa, per gli operatori sanitari, perché si è visto che questi vaccini dopo 6 mesi cominciano a perdere un po’ di efficacia nel prevenire l’infezione. La cosa non ci inquieta più di tanto perché per i coronavirus nemmeno i guariti sono sicuri di rimanere protetti. Al momento la FDA ha detto di vaccinare con la terza dose le persone fragili, dopodiché vedremo in autunno-inverno, dove purtroppo credo che un colpo di coda del virus ci sarà e allora forse dovremo fare un richiamo universale. Io però immagino una prospettiva dove il vaccino anti-Covid si affiancherà a quello antinfluenzale, con la stessa modalità, quella di offrire il richiamo annuale soprattutto alle persone più a rischio”.

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Per Guido Rasi, ex direttore Ema, “non ci sono dati sufficienti per una terza dose a tutti, ma è giusto iniziare da persone fragili, operatori sanitari e over 65. È l’indicazione dell’Fda e sarà probabilmente quella dell’Ema”, ha affermato il professore ordinario di Microbiologia a Roma Tor Vergata e consulente del generale Figliuolo, in una intervista su La Stampa.

Sull’immunità che secondo alcuni studi dopo due dosi cala, Rasi spiega che “cala l’immunità misurabile - spiega - , un allarme da approfondire, ma non è tutto. Israele ha notato una ripresa delle infezioni, ma senza conseguenze. Anche in Italia ci sono segnali simili però due dosi qui potrebbero valere di più grazie alle chiusure e alle mascherine. E poi il calo degli anticorpi non è la fine della memoria immunitaria. I dati positivi di copertura dell’Istituto superiore di sanità riguardano vaccinati da più di sei mesi, dunque la terza dose non ha senso prima di nove”.

“Non c’è nessun motivo scientificamente accettabile - sottolinea Rasi - per non vaccinarsi. Tutte le categorie fragili, malate o allergiche possono fare i vaccini a Rna, anzi sono coloro che ne hanno più bisogno”.

Secondo Massimo Galli, direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, “nell’immediato, e nella stragrande maggioranza dei casi, non c’è necessità di una terza dose. Ci sarebbe da capire, e questo sarebbe compito dei medici, chi non ha risposto sufficientemente alle prime due o comunque ha una situazione tale da richiedere un ‘richiamo’”, ha dichiarato intervenendo ad “Agorà” su Rai 3. “Appare molto probabile - ha ricordato Galli - che alla fine servirà la terza dose, forse non necessariamente con questo vaccino”. Ma per l’infettivologo, “la domanda delle domande, alla quale non c’è ancora risposta, resta ‘quanto dura l’immunità?’ sia dei guariti sia dei vaccinati. E’ cruciale capirlo, anche per stabilire la durata del green pass”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.