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Ai lobbisti serve un registro

Inquadrare il traffico di influenze illecite è difficile perché non esiste un concetto ben definito di quelle lecite, ovvero dell’attività di lobbying. Regolamentare meglio i rapporti fra i gruppi di interesse e la pubblica amministrazione porterebbe più trasparenza e chiarezza.

Cos’è il reato di traffico di influenze illecite

Già incontrato ai tempi dello scandalo Tempa Rossa, è appena tornato alla ribalta come capo d’accusa contro Tiziano Renzi e Carlo Russo nell’ambito dell’inchiesta Consip: il traffico di influenze illecite – o articolo 346-bis del codice penale, introdotto nel 2012 dal governo Monti – punisce chiunque riceva un vantaggio patrimoniale, o la promessa di esso, come contropartita rispetto al suo ruolo di intermediario (illecito) fra un privato e l’amministrazione pubblica. Differisce dal reato di corruzione sia perché lo anticipa cronologicamente, è cioè antefatto dell’atto di corruzione, sia perché la remunerazione è destinata all’intermediatore e non al funzionario pubblico.

La sua introduzione (le caratteristiche della norma si trovano più in dettaglio in questo articolo) è di fatto un adeguamento del vuoto normativo italiano rispetto al traffico di influenze, sollecitato sia dal Consiglio d’Europa (1999) che dall’Onu (2003).

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Come definire le “influenze lecite”

I contatti tra politici e gruppi di pressione sono frequenti e rappresentano la norma del processo legislativo, in particolare quando l’attività normativa mira a regolare settori specifici e ha ricadute sul futuro di comunità di interessi, realtà locali e imprese. Tuttavia, è necessario che questi rapporti siano trasparenti, sotto il controllo dei cittadini e che il legislatore sia sempre in condizione di indipendenza rispetto al lobbista e possa fare le sue scelte in autonomia e nell’interesse collettivo. Per questo motivo, come già esposto su questo sito qualche mese fa da Nicola Persico e Nicola Scocchi, e come ci ricorda con forza la stessa inchiesta Consip, avremmo bisogno di una normativa sulle lobby, per la quale potremmo prendere esempio da quella dell’Unione europea.

Il registro per la trasparenza è stato lanciato nel 2011 e conta, al 5 marzo 2017, 11.298 soggetti registrati. Mira a identificare i lobbisti, gli interessi che rappresentano e le loro dotazioni finanziarie, collocandoli all’interno di un codice di condotta e permettendo a chiunque di chiedere l’avvio di indagini amministrative su presunte violazioni del codice stesso.

L’istituzione più simile che abbiamo in Italia è il Registro trasparenza del ministero per lo Sviluppo economico, lanciato nel settembre 2016 dal ministro Calenda proprio in seguito allo scandalo che aveva travolto il suo predecessore, Federica Guidi. Il registro è del tutto simile a quello dell’Unione per obiettivi, scopo e struttura, ma è appunto limitato al solo Mise. Inoltre, esiste dal 2012 un registro presso il ministero delle Politiche agricole e forestali e, dal 10 marzo, ne verrà creato uno per la Camera dei deputati. In precedenza, sia il secondo governo Prodi che quello di Enrico Letta avevano provato, senza successo, a istituire un albo nazionale dei lobbisti e un sistema di controllo della loro attività.

Rispetto ai 167 iscritti al tempo dell’articolo di Persico e Scocchi, oggi il Registro trasparenza del ministero dello Sviluppo economico conta 643 soggetti registrati. Il tasso di iscrizione fa ben sperare, ma di certo la platea potenziale è ben maggiore. Per il futuro, è sicuramente auspicabile che il registro del Mise venga esteso alle altre istituzioni pubbliche, cercando gradualmente di regolamentare in modo completo il processo di influenza dei gruppi di pressione privati, incanalando il potenziale positivo di queste forze all’interno di strutture legali che ne garantiscano identità e responsabilità, impedendone allo stesso tempo derive illecite. Ciò potrebbe tradursi concretamente non solo in un registro nazionale, ma nell’obbligo di iscrizione prima di poter stabilire qualsiasi contatto con parlamentari e alti funzionari pubblici, come previsto anche dalla recente proposta della Commissione europea per la riforma del registro europeo.

Di Tortuga

Autore: La Voce Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online