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Lontani da Cacciari, ma il virus è un rischio per la democrazia (di V. Vecellio)

(Photo: Roberto Serra - Iguana Press via Getty Images)
(Photo: Roberto Serra - Iguana Press via Getty Images)

Cosa farei, mi trovassi al loro posto?, è l’interrogativo che l’accademico francese Jean D’Ormesson diceva di porsi ogni volta, prima di scrivere un editoriale per “Le Figaro”.

Valido suggerimento e più che mai quando si parla di Covid, degli innumerevoli problemi che la pandemia comporta: chissà per quanto tempo continuerà a sconvolgere la nostra vita, mettendo in discussione consolidate certezze, e costringendoci a fare i conti con l’immenso catalogo dei pregi e dei difetti che sono elemento costitutivo dell’umana natura. Si fosse sulla tolda del comando, cosa si farebbe che non si fa, e cosa si eviterebbe di fare?

Questo virus è uno spartiacque; un qualcosa di storico, ci pone questioni e problemi che fino a ieri si leggevano solo nei romanzi di fantascienza: il Covid potrebbe essere un ulteriore capitolo del già corposo saggio del sociologo californiano Jonathan Simon, disponibile anche in versione italiana: “Il governo della paura”. Quindici anni fa Simon si interrogava sulla ridefinizione dei poteri del governo, il ruolo della famiglia e della scuola, la posizione dell’individuo nella società, non solo quella statunitense, ma in tutto il mondo occidentale in rapporto alla centralità percepita del crimine. Una “centralità” alimentata e favorita. Preceduto, Simon, da Leonardo Sciascia: ne “Il cavaliere e la morte” (1988) uno dei personaggi della sua sotie, adombra l’esistenza di “una segreta carta costituzionale, che al primo articolo recita: la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”.

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Per tornare al Covid: lungi dal voler accreditare ogni tipo di “complotto”, e sideralmente lontani dalle posizioni assunte dal quartetto Agamben-Cacciari-Freccero-Mattei; tuttavia di qualche “ammonimento” è bene far tesoro. Una cosa, il Covid, dovrebbe insegnare: in futuro, senza ricorrere a violenze, eserciti, repressioni cruente, si possono comprimere agevolmente spazi di libertà, democrazia, conoscenza, diritto. E’ sufficiente agitare lo spettro di una planetaria emergenza.

Intervistato dal “Corriere della Sera” l’ex responsabile del Comitato Tecnico Scientifico Agostino Miozzo giustamente irride chi parla di regime dittatoriale, ricorda che dittatura vera è quella in paesi come la Corea del Nord. Poi aggiunge: “Nell’emergenza in cui siamo non ci è permesso essere democratici. Tutti abbiamo parlato di guerra. E in guerra decide il comandante. E si prende la responsabilità”. Una sorta di voce dal sen fuggita che tuttavia, ci si può scommettere, non è posizione isolata.

La frase chiave è appunto: “Nell’emergenza in cui siamo, non ci è permesso essere democratici″. Siamo dunque in guerra? Chi l’ha dichiarata? Ancora: chi stabilisce la durata della guerra/emergenza? Chi è il comandante? Chi lo ha nominato? A chi risponde, e come, per le sue decisioni? Scienziati ed esperti ci dicono, unanimi, che questa è la prima di altre future “emergenze”. Dunque: come si intende “governare” la nuova fase storica in cui siamo entrati? Senza ricorrere agli apocalittici scenari evocati dai rabbiosi “negatori” (anzi, per contrastarli con maggiore efficacia): quali contravveleni e garanzie si pensa di mettere in campo, a fronte dei rischi potenziali insiti nelle future emergenze?

C’è chi suggerisce di riprendere una teoria suggerita da Marshall McLuhan (ma “offerta” in modo meno rozzo di come la si è voluta intendere): “staccare la spina” alle informazioni sulla pandemia, per non alimentare allarmismo e stati ansiogeni. Buone intenzioni: ottimo materiale, com’è noto, per lastricare le strade dell’inferno. Abbiamo già visto, nei 55 giorni del sequestro Moro, quali sublimi risultati ha portato l’aver “staccato la spina” da parte di TV e giornali.

Il continuo via-vai di ambulanze a sirene spiegate; il circolare con mascherina; dover esibire a ogni pié sospinto il certificato vaccinale…Questo sconvolgimento di vita quotidiana, la rinuncia a contatti fisici sia pure fugaci, anche questo provoca ansia. Lo si nega per prefettizio decreto? Il “non sapere”, questo sì, diventa qualcosa di ansiogeno; e l’inevitabile ricerca nei disparati canali, alimenterà i già floridi circuiti delle pericolose ciarlatanerie circolanti.

Indubbiamente la comunicazione così come viene fornita è largamente insoddisfacente. Nel migliore dei casi finisce con “abituarci” al fatto che ogni giorno è come se un aereo di linea si schiantasse con a bordo il suo centinaio di occupanti.

“Fra le tante sfide che la pandemia ha posto alla nostra società, c’è quella di comunicare la scienza al pubblico in modo sensato. Non c’è mai stata nei tempi recenti, nell’epoca della comunicazione di massa, un problema scientifico che interessasse direttamente così tante persone che necessitano di chiavi di lettura per comprendere il senso di quello che raccontano i dati”, dice a “HuffPost” il fisico Roberto Battiston. “Sarebbe meglio se i cittadini venissero informati con un commento basato sulla competenza scientifica ma anche su una comunicazione adatta al grande pubblico, anziché in un quotidiano, asettico e talvolta inaccurato bombardamento di dati che non fornisce all’ascoltatore gli strumenti per comprendere cosa i dati stanno dicendo”.

Ecco indicata una ragionevole, praticabile via, in luogo di una censura più dannosa del presunto male che intende curare. Una diversa comunicazione e diffusione e “lettura” dei dati: non solo il numero dei decessi, ma di questi, quanti i vaccinati e quanti no. Tra i vaccinati, quanti al primo, al secondo, al terzo ciclo; la loro età, se erano affetti da altre gravi patologie. Le aree geografiche dei maggiori decessi, possibilmente comparate con il numero/densità dei non vaccinati. Solo così si potrebbe avere un quadro più esatto della situazione.

Anthony Fauci ci avverte che prima o poi tutti finiranno per contagiarsi con la variante Omicron, e si tratterà di conviverci. “Omicron”, spiega, “ha un livello molto alto di trasmissibilità e alla fine ’troverà tutti. Anche i vaccinati. Ma in questo caso, non finiranno in ospedale, non moriranno proprio grazie all’efficacia del vaccino. A pagare il prezzo più alto “saranno i non vaccinati”. Un discorso chiaro, comprensibile, che fa i conti con la realtà e appello al senso di responsabilità di tutti e ciascuno. Non è difficile. O sì?

Da ultimo (ma non ultimo): colpisce, e sgomenta, che non ci sia un no-vax tra i tanti illustri ospitati dalle varie reti TV che si sia dissociato dalle odiose invettive scagliate contro David Sassoli dai tanti che condividono le loro “opinioni”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.