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Il male oscuro di Piazza Affari

La settimana era iniziata, come sempre, fluida e prevedibile. Tanta ordinaria amministrazione e qualche imprevisto che aumentava la pressione sistolica. Quando a un tratto irrompe la telefonata: “Anche oggi siamo gli unici stranegativi! Non è che si può fare un articolo che spieghi perché il Ftse Mib si sta sbriciolando?”

Capirai, detta così era una di quelle domande che esigevano una risposta perentoria e al tempo stesso tranquillizzante: «Non c’è problema, ci lavoro su». Come se fosse facile, spiegare in poche parole perché la borsa italiana abbia perso un terzo del suo valore in meno di 18 mesi, senza correre il rischio di annoiare con grafici, linee, curve e finti rettilinei che conducono al burrone dove sistematicamente precipita Wile Coyote (a proposito: buon 67esimo compleanno!).

Da qualche punto dobbiamo cominciare. Partiamo allora da un grafico che torna indietro fino al 2009:

Guardate ritracciamenti, proiezioni di Fibonacci, media mobile a 200 mesi: cosa volevi di più, ad aprile 2015, per convincerti che la borsa italiana aveva appena raggiunto un massimo roccioso? Certo, avesse superato i 24 mila punti sarebbe decollata. Ma non l’ha fatto. Non lo poteva fare…

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Guarda là: lo stocastico era in ipercomprato di lungo periodo, e perdipiù veniva da una vistosa divergenza bearish. Sì, la stessa vista nel 2007 e nel 2000. Con un mercato “arrivato” su base trimestrale, come si fa a non capire che può prendere il via un ribasso potenzialmente pluriennale?

Si dirà: l’analisi tecnica non è tutto. Certo, e per questo andiamo a vedere anche al contesto macro.

Prendiamo ad esempio il Leading Economic Indicator, calcolato dall’OCSE per l’Italia. Il LEI ha svoltato verso il basso alla fine dello scorso anno, segnalando un deterioramento delle condizioni economiche del Paese.

Si riesce a percepire dove si trovava il mercato azionario (frecce rosse) quando il LEI – una versione derivata, per la verità – nel passato ha svoltato verso il basso? Purtroppo, si riesce.

Si vede inoltre su quali livelli depressi di LEI si sono manifestate le svolte verso l’alto del 2009 e del 2012? E si vede anche quanto siamo lontani ad ora da quei livelli…

Si dirà: il mercato è in ipervenduto, non può continuare a scendere all’infinito.

Eh, no. Proviamo a capirci: il grafico sotto confronta la performance a 4 mesi dell’indice MIB – linea blue, scala di destra – con il Citi Economic Surprise Index. Ebbene, la crisi di Piazza Affari, un anno e mezzo fa, è iniziata quando i dati macro sono pervenuti sistematicamente inferiori alle attese degli economisti.

Si può considerare completato il lavoro correttivo dell’ultimo anno a mezzo? Direi di no.

Anche a livello di analisi tecnica algoritmica: il Risk-adjusted Yield (altro indicatore proprietario. Pazienza…) è soltanto moderatamente negativo. È lontano dall’ipercomprato di lungo periodo (>5) di aprile 2015 e giugno 2007; ed è ancora molto distante dall’eccesso ribassista di lungo periodo (< -5) di marzo 2009 e luglio 2012, tanto per citare tutti gli estremi degli ultimi due lustri.

Per aggiungere il danno alla beffa: non solo il nostro mercato è debole in termini assoluti ma è anche sottoperformante rispetto agli altri listini europei. Da quasi un anno, e in modo particolare da gennaio, quando il rapporto fra MIB ed Eurostoxx ha sfondato la parete inferiore del canale entro cui si era brillantemente mosso dal 2012 in avanti.

Sì, siamo sui minimi: la condizione drammatica di Piazza Affari è ben espressa dalla pendenza vistosamente negativa di questa linea. Che non autorizza grossi entusiasmi.

Certo, quando è troppo è troppo. In un anno Piazza Affari ha prodotto un saldo negativo di quasi 20 punti percentuali, rispetto all’Eurostoxx. Una sottoperformance simile è praticamente eccezionale: soltanto una volta, a ottobre 1999, si manifestò un precedente simile.

Come tutti ricorderanno, Piazza Affari sperimentò un boom vistoso quanto effimero, e pochi mesi dopo raggiunse i 50 mila punti. La forza relativa ci accompagnò fino a novembre 2000, quando iniziò una nuova fase di declino.

Ma è verosimile ipotizzare una nuova stagione simile? Insomma, un periodo di grazia, prima di una nuova depressione?

Personalmente non credo. Un caso, isolato, non può essere considerato un precedente statisticamente vincolante. Soprattutto, spiace dirlo, non ci sono le condizioni di panico generalizzato che tipicamente precedono i minimi che contano: la correlazione media delle prime dieci azioni per capitalizzazione di Piazza Affari è molto bassa, a poco più del 55%. Tipicamente, la correlazione media è molto elevata sui minimi; e molto bassa sui massimi.

Casomai, gli infimi livelli di correlazione sono più compatibili qui con l’inizio di un ribasso, che non con il suo esaurimento.

Bisogna dunque prestare molta attenzione. Non escludo che da qui ci possa essere una fase di temporaneo recupero. Dopotutto, quando i direttori dei periodici finanziari entrano in panico, le borse escono dal panico. Dal massimo di luglio 2015 l’indice MIB è sceso in cinque onde e questo (secondo i patiti della Teoria di Elliott) suggerisce il completamento di un movimento, e l’avvio di una correzione.

Dopotutto, il supporto a 15000 punti è noto da tempo e dimostra di tenere molto bene. Guai se quell’argine venisse meno: tutti i peggiori presagi delineati dagli studi di lungo periodo, troverebbero conferma.

Dovessimo abbattere quel supporto, corrispondente a 16500 punti di All Share Italia, che ne sarebbe del nostro listino?

Ne riparleremo, a tempo debito. Speriamo di no.

Autore: Gaetano Evangelista Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online