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'Metteremo la plastica nei vostri motori', ecco l'azienda che vuole rivoluzionare i carburanti

D’ora in poi faremo il pieno di plastica? Ecco il progetto di usarla come carburante (foto d’archivio Getty Images)
D’ora in poi faremo il pieno di plastica? Ecco il progetto di usarla come carburante (foto d’archivio Getty Images)

Le automobili sono una risorsa e un problema per il nostro pianeta. Stessa cosa vale per la plastica. Perché non unire le due cose, e migliorare la qualità della nostra vita?

Non stiamo parlando di auto di plastica riciclata, ma di un procedimento chimico che un’azienda svizzera vuole portare allo stato dell’arte per rendere la plastica riciclata un vero e proprio combustibile. Dalla plastica alla benzina, dunque. Ma è possibile?

Secondo Luca Dal Fabbro, amministratore delegato di Grt Group e intervistato da Repubblica, è assolutamente fattibile: “Il prossimo anno costruiremo in Italia alcuni impianti di ridotte dimensioni, grandi quanto un campo da tennis, per trasformare le bottiglie e i sacchetti di cui cerchiamo disperatamente di disfarci. Da queste fabbriche uscirà carburante: 900 litri di combustibile simile al cherosene e al diesel per ogni tonnellata di plastica. Il tutto a emissioni zero grazie alla pirolisi“.

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A questo punto la domanda sorge spontanea: cos’è la pirolisi?

La pirolisi è un processo che determina la rottura delle catene molecolari che rendono la plastica rigida. In sostanza si riporta in qualche modo la plastica a uno stato precedente, quello liquido; e visto che la plastica è un derivato del petrolio, il ciclo si chiude.

Questo procedimento è diventato tecnologicamente accessibile da poco tempo; da anni si cercava di trovare un modo economicamente sostenibile per riciclare la plastica in questo modo. Nel 2019 dovrebbero dunque aprire i primi impianti italiani. Secondo l’azienda svizzera di Dal Fabbro, ogni impianto sarà in grado di fornire combustibile al costo di 25 dollari al barile equivalente, meno della metà del prezzo del barile di petrolio.

A seconda di dove saranno ubicate le fabbriche, ci sarà anche un notevole abbassamento dei costi economici e ambientali per il trasporto; la plastica sarà infatti prelevata in un raggio di cento chilometri attorno all’impianto. Così facendo, si ripuliranno le discariche in modo costante. Se tutto funzionerà a dovere, altre aziende entreranno nel mercato, riducendo potenzialmente l’impatto ambientale della plastica al minimo. Il tutto dando lavoro alle persone e riducendo in qualche modo la dipendenza del Paese e delle aziende verso i maggiori esportatori dell’oro nero.

Secondo il rapporto The New Plastics Economy della MacArthur Foundation, il 32 per cento del packaging in plastica (contenitori, bottiglie, vaschette, pellicole) finisce disperso nell’ambiente, il 14 per cento viene bruciato negli impianti di incenerimento con termovalorizzazione e il 40 per cento va in discarica. Solo il 14 per cento viene recuperato e appena l’8 per cento è davvero riciclato. Dunque su questi pessimi numeri si nasconde un business dal potenziale straordinario.

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