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Metti Hitler sul lettino dello psicanalista

(Photo: Hitler)
(Photo: Hitler)

Può mai Hitler essere contemplato come oggetto, vecchio arnese, da parodia? La domanda è assoluta e insieme essenziale: si può ironizzare su un mostro criminale della storia, meglio, della caratura teratologica di Adolf Hitler? Starebbe suscitando polemiche “Heal Hitler”, un videogioco in vendita sulla piattaforma Steam. Il marchingegno virtuale funziona così: il giocatore indossa il camice dello psicologo, e segnatamente ha in cura proprio Hitler. Il “Reich Millenario” appare ancora lontano, è soltanto il 1925, le camicie brune si ritrovano soprattutto in birreria, Leni Riefenstahl ancora da venire con le sue adunate oceaniche da mettere infine su pellicola. Lo scopo, al momento, è unicamente sottoporre il führer a una puntigliosa “psicoterapia”, così da scongiurare in prospettiva la Shoah, la guerra, le rovine...

Il nome si deve a un gioco di parole sul saluto nazista, “Heil Hitler”. Le istruzioni: “Sei lo psicologo di Hitler nel 1925. Devi diagnosticare i suoi complessi usando la psicoterapia sia junghiana che freudiana e tentare di guarirlo. E avere successo ed evitare la guerra”. Segue una nota: c’è un “nuovo cliente, herr Hitler” che lamenta un disturbo, la ‘rabbia’. Utilizzerai tecniche psicoanalitiche per diagnosticare la fonte del suo trauma, che potrebbe scatenare il suo odio”, aggiunge il testo. Colui che ha sviluppato il videogioco, Jon Aegis, afferma di avere approfondito ogni dettaglio, così da non determinare ambiguità, da nessun giocatore Hitler potrà essere eticamente “salvato” dalle sue criminali responsabilità.

Obietta invece Daniel Kennedy, studioso della Shoah, che trova “incredibilmente di cattivo gusto” un videogioco che, almeno ai suoi occhi, banalizza l’omicidio di sei milioni di ebrei: “L’intera premessa del gioco è di così cattivo gusto che posso solo supporre che sia stata deliberatamente progettata per causare offesa”.

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Rilevando innanzitutto che tra le possibili terapie non sia stata contemplata la variante lacaniana, e altrettanto doverosamente aggiungendo che la posizione di “giocatore” non credo dia diritto d’accesso al sapere freudiano, dunque su tutto resta la condanna etica sull’inemendabile nazismo, ma anche il dubbio circa la professionalità dei partecipanti, va però aggiunto che da sempre l’ironia, il paradosso, il sarcasmo, la parodia interessano anche lo storico scenario del Male assoluto.

Qualcuno rammenterà certamente la straordinaria apocrifa pubblicità della Mercedes, dove proprio Hitler bambino finiva falciato dall’auto, su tutto, al momento dell’impatto, le urla di disperazione della madre. Per il suo “piccolo” e indifeso Adolf, lì a giocare nell’aia dell’infanzia a Linz, in Austria. Anche in quel caso il sarcasmo, l’ironia, il paradosso della virtuale esecuzione preventiva contribuivano a un’ulteriore doverosa Norimberga, sia pure filmica, letteraria, fantasmatica o che dir si voglia. C’è poi da accennare al romanzo “Lui è tornato” dello scrittore tedesco Timur Vermes, da cui è stato tratto il film omonimo; in Italia declinato perfino sostituendo Mussolini all’omologo germanico, già suo “allievo” politico. Anche in questo caso, come da volto di copertina, Hitler fa ritorno a se stesso, e, per converso, alla riflessione suggerita dal suo semplice tragico transito sanguinoso nella storia del “Secolo breve”. A margine poi, il caso ulteriore de “La vita è bella” di Roberto Benigni, anche allora, a dispetto dell’Oscar, si era aperta una querelle, in quel caso non impropria, circa la banalizzazione di un luogo di morte quale Auschwitz.

Ora che ci penso, perfino Russ Meyer, leggendario regista Usa strepitosamente anticonformista al limite della pornografia, in “Up”, piazza un sosia proprio di Adolf Hitler al centro della scena, costui, fra molto altro, ha il privilegio d’essere sodomizzato dal protagonista travisato da tagliaboschi. Insomma, la storia è più complessa d’ogni tentativo di sanificazione.

Io stesso, in un romanzo, “Intanto anche dicembre è passato”, ho provato a immaginare Hitler sopravvissuto ai giorni del Bunker, finito addirittura a Palermo, ospite dei miei nonni, laggiù alle prese con un lavoro di tinteggiatura del nostro appartamento; peccato che l’incauto Adolf, una volta in Sicilia, avrà la scarsa accortezza di intraprendere una relazione con Lucilla, cassiera e cognata di un boss di mafia, quest’ultimo troverà intollerabile la storia di un’ex parente acquisita con uno sconosciuto signore tedesco, fino a decretarne la morte per “incaprettamento”. Peccato che nel compiere questo delitto i mafiosi non comprenderanno d’avere giustiziato un criminale della storia, semmai, più meschinamente, soppresso chi si era permesso di violare un patto coniugale e familiare. L’ironia evidentemente non è pane per tutti. Né dei nazisti né dei mafiosi. In ogni caso, il feticcio di Hitler continuerà a ispirare ogni teatro letterario e non ulteriore, a maggior ragione in assenza delle coordinate esatte della sua morte misteriosa e della sua stessa tomba assente a ogni sguardo. La domanda sul videogioco, e in parte lo si è già detto, dovrebbe riguardare la professionalità dei suoi partecipanti: davvero chi non abbia mai letto neppure una semplice riga di Sigmund Freud, per non dire addirittura di Wilhelm Reich, potrà ritenersi adeguato a sfidare il mostro e la svastica?

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.