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Mobbing sul lavoro: cos'è, come dimostrarlo e a chi rivolgersi

Il mobbing sul lavoro è una pratica che talvolta scivola nell’anonimato, seppur sia purtroppo diffusa a tutti i livelli. Accade quando un lavoratore viene continuamente deriso e attaccato per le sue performance o per la sua personalità, oppure quando viene minacciato o molestato sessualmente, venendo messo nelle condizioni di dimettersi dietro persecuzioni o violenze psicologiche.

Mobbing (Getty Images)
Mobbing (Getty Images)

Ad attuarlo sono solitamente i datori di lavoro, i superiori o i colleghi, che aspirano a rendere la vita difficile al lavoratore provocando in lui uno stress psicologico e fisico tale da renderlo instabile, costringendolo a dare le dimissioni o a “sbottare” in modo da creare le condizioni per un licenziamento per giusta causa.

Il mobbing non va confuso con le normali litigate o discussioni sul lavoro, che si esauriscono alla conclusione del turno. Sono fenomeni continuativi nel tempo e crescenti nella loro gravità. Per parlare di mobbing comprovato occorrono alcuni elementi oggettivi:
– La molteplicità di atti persecutori, sistematici o prolungati nel tempo;
– Eventi lesivi della salute o della personalità dell’individuo (insulti continui, umiliazioni pubbliche);
– Il pregiudizio dell’integrità psicofisica dell’individuo (che porta a crisi e a stress).

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Il mobbing può essere verticale (se perpetrato dal datore di lavoro o dai superiori) o orizzontale (dai colleghi). Ci sono dei tratti comuni in questa terribile pratica, come: emarginazione dal gruppo di lavoro; diffusione di maldicenze; demansionamento o umiliazioni; sabotaggi sul lavoro.

Le conseguenze, invece, sono le seguenti: disturbi psicosomatici, depressione, riduzione della produttività personale. Fino al suicidio, nei casi più gravi. Le vittime “tipiche” non esistono, ma si registrano maggiori casi quando si parla di individui con contratti precari oppure con ottimi lavoratori (in questo caso specifico è l’invidia a guidare chi si macchia di mobbing).

In ambito penale non esiste il reato di mobbing. Il giudice deve esaminare le condotte commesse ai danni della vittima per accertare se gli atti posti in essere possano configurare delle fattispecie di reato. Che sono principalmente molestie sessuali, maltrattamenti, ingiuria, diffamazione, stalking e violenza privata.

Il lavoratore che ritiene di aver subito un danno dalla condotta del datore di lavoro o dei colleghi dovrà rivolgersi al giudice del lavoro e provare:
– la situazione di mobbing, cioè le condotte vessatorie poste in essere nei suoi confronti;
– il dolo da parte dell’autore;
– il danno ingiusto come effetto dei comportamenti lesivi.

Si può chiedere inoltre risarcimento civile per il danno subito, anche se la normativa non è ancora precisa in tal senso. Si può richiedere il danno patrimoniale (danno emergente come le spese mediche per curarsi dalle patologie derivanti dal mobbing, lucro cessante quando si ritiene di aver perso mesi di stipendio) e non patrimoniale (danno biologico) ma dipende sempre dagli elementi in mano al giudice.

Harald Ege, Psicologo operante nell’ambito della Psicologia del Lavoro e e della Psicologia giuridica e Presidente di PRIMA, l’Associazione italiana contro mobbing e stress psico-sociale, ha elaborato il seguente modello a 6 fasi per riconoscere il mobbing:

Condizione Zero, ovvero la fase in cui non c’è una vittima cristallizzata, ma una situazione generale di conflittualità, In questo momento non emerge la volontà di aggredire, distruggere o assalire la vittima, ma solamente di rendersi migliore di lei.
Fase I: conflitto mirato. Nella prima fase viene scelta la vittima e i primi abboccamenti si mantengono tra sfera lavorativa e sfera privata;
Fase II: l’inizio del vero mobbing. La vittima sente un senso di disagio e fastidio, che non sfocia ancora in malattie di tipo psico-somatico;
FASE III: Primi sintomi psicosomatici. Questi primi sintomi sono relativi a un senso di insicurezza, problemi digestivi o insonnia. L’atmosfera lavorativa peggiora sensibilmente;
Fase IV: Errori e abusi dell’amministrazione del personale. Il caso di mobbing diventa pubblico all’interno dell’azienda e iniziano le assenze per malattia della vittima;
Fase V: serio aggravamento della salute psico fisica della vittima. Inizia la fase di depressione mentre sul lavoro non si colgono ripensamenti da parte di chi perpetra il mobbing;
Fase VI: esclusione dal mondo del lavoro. La vittima esce dal mondo del lavoro: dimissioni volontarie, licenziamento, e per chi è più avanti con l’età il prepensionamento. Nei casi più gravi si possono compiere atti estremi: suicidio o la vendetta sul mobber, che può spostare l’equilibrio di legge in caso di intervento del tribunale.