Annuncio pubblicitario
Italia markets open in 4 minutes
  • Dow Jones

    37.775,38
    +22,07 (+0,06%)
     
  • Nasdaq

    15.601,50
    -81,87 (-0,52%)
     
  • Nikkei 225

    37.068,35
    -1.011,35 (-2,66%)
     
  • EUR/USD

    1,0651
    +0,0005 (+0,04%)
     
  • Bitcoin EUR

    60.634,20
    +3.276,14 (+5,71%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.299,09
    -13,53 (-1,03%)
     
  • HANG SENG

    16.230,56
    -155,31 (-0,95%)
     
  • S&P 500

    5.011,12
    -11,09 (-0,22%)
     

Moncler: dai paninari alla Borsa, con la “benedizione” di Renzi

Moncler: dai paninari alla Borsa, con la “benedizione” di Renzi

All’Assemblea nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha spiazzato tutti parlando di Moncler, come di un esempio di imprenditoria italiana capace di rilanciare nonostante la crisi. Il neo-segretario del Pd nel presentare la sua road map lo ha detto chiaramente: il suo Pd non si limiterà a salvare il lavoro, ma si impegnerà per produrre lavoro e per un progetto a lungo termine in grado di riportare il nostro Paese ai vertici dell’economia continentale.

Giunto il momento di parlare di imprese vincenti, il segretario Pd ha portato come esempio la Moncler, un’azienda francese diventata italiana. Renzi ha parlato dei “paninari”, di cui i piumini Moncler erano il simbolo, e, da abile comunicatore qual è, ha utilizzato come esempio virtuoso un’azienda italiana capace di andare in controtendenza. Se gli organi d’informazione tendono a concentrarsi sulle aziende che chiudono o che diventano di proprietà straniera, lui ha acceso i riflettori sul caso di quest’azienda fondata nel 1952 a Monestier de Clermont e diventata, grazie alla sponsorizzazione di molte imprese alpinistiche (fra cui quella di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sul K2 nel 1954) e della nazionale francese di sci alpino uno dei principali brand dell’equipaggiamento invernale.

La grande trasformazione avviene negli anni Ottanta, quando il Moncler diventa simbolo dei “paninari” e, con le sue impunture e il suo effetto verniciato, diventa capo da città, quando non un vero e proprio status symbol dell’epoca.

Nel 1992 il brand diventa italiano: è la Pepper Industries ad acquistarlo per poi cederlo alla Finpart. Nel 2003 Remo Ruffini, attuale presidente e direttore creativo dell’azienda acquista il marchio e regala all’azienda una nuova vitalità, pensando in termini globali. Gli stili del passato vengono ripensati, vengono stabilite collaborazioni con aziende italiane, giapponesi e tedesche, si creano linee per bambini e per bebè, ma, soprattutto, si pensa in termini globali. Il fatturato 2011 è stato di 363,70 milioni di euro. Il Gruppo Moncler conta attualmente 1200 dipendenti ed è attivo con ben 122 punti vendita monomarca, oltre che distribuito in 66 Paesi di Europa, Asia e Americhe.

Renzi, insomma, non ha scelto l’esempio a caso e, probabilmente, nemmeno le tempistiche visto il risultato ottenuto quest’oggi nel debutto in Borsa, con un prezzo che, in poche ore, è salito di oltre il 40%. 

Il presidente Ruffini, intervistato da Francesco Gilioli di Repubblica, si è detto felice dell’inattesa citazione da parte di Renzi: “Si parla sempre delle aziende italiane vendute ai francesi e nessuno ha parlato di Moncler, un’azienda francese gestita da noi”. Al giornalista che gli chiedeva di possibili analogie fra la sua azienda e il progetto politico di Renzi, l’imprenditore ha dichiarato che il compito di un’azienda vincente è quello di stare vicina al consumatore, vicina al prodotto e creare valore, ciò che secondo Ruffini la politica italiana dovrebbe fare con i cittadini: “In un’Italia nella quale si dice che non c’è energia e che non si fa nulla, noi, negli ultimi dieci anni, abbiamo fatto. Credo che si possa fare e credo sia una buona cosa per i giovani: bisogna avere una visione, essere globali, avere le radici forti nel nostro paese, ma capire cosa succede nel mondo”.