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Non basta farsi un nome

Sarà anche vero, come diceva lo scrittore francese Charles Baudelaire che “la gloria è il risultato dell’adattamento di uno spirito alla stupidità nazionale”. Resta il fatto che avere un nome conosciuto spesso può essere un buon affare. Questo elemento da solo, tuttavia, non basta per garantire rendimenti di lungo periodo agli azionisti. Lo sanno bene le aziende (e gli investitori) del settore Consumi. “La maggior parte delle società di questo segmento, per il proprio vantaggio competitivo (l’Economic Moat, Ndr) deve ringraziare la forza e la riconoscibilità del marchio”, spiega Adam Flack, analista azionario di Morningstar (NasdaqGS: MORN - notizie) . “Non a caso, delle 120 società dell’area Consumer che seguiamo, 110 sono riuscite a guadagnarsi un giudizio relativo all’Economic Moat proprio grazie a questo asset intangibile. Il problema è che non è facile da misurare, visti i gusti in continua trasformazione dei clienti e l’andamento volatile dell’economia a livello globale”.

Cosa serve al Moat
Dal punto di vista strettamente operativo questo significa che le migliori idee di investimento nel settore sono quelle che possono fare affidamento su diverse fonti di vantaggio competitivo come i prezzi convenienti che possono spuntare ai fornitori, le buone economie di scala e un sistema efficiente di distribuzione (preferibilmente a livello globale). “Sono tutti elementi che possono permettere a un’azienda di adattarsi ai cambiamenti di gusto dei consumatori e alle evoluzioni tecnologiche che possono rivoluzionare interi segmenti”, dice Flack. “Crediamo che il mercato stia sbagliando la sua valutazione di alcuni titoli perché non riesce a comprenderne il vero posizionamento competitivo di lungo periodo. Nel (Oslo: NEL.OL - notizie) dettaglio, secondo noi Procter & Gamble e Coach sono sottovalutate, mentre Marriott tratta con un premio troppo alto”.

Come cambia il vantaggio
Per capire l’importanza della forza del marchio nella valutazione del vantaggio competitivo, può essere utile qualche numero. Dal 2002 gli analisti di Morningstar hanno cambiato il giudizio sull’Economic Moat delle aziende che segue (in tutti i settori) 159 volte. Negli anni molte di queste società sono state acquisite, sono andate in fallimento o sono uscite dall’elenco di quelle analizzate. Per quanto riguarda il segmento consumer (157 società) il Moat è stato variato – in meglio o in peggio - per 87 volte. Il cambiamento ha interessato 63 titoli. “Quando abbiamo fatto un’analisi storica del perché il rating sul Moat era stato cambiato, ci siamo resi conto che le motivazioni, nel 92% dei casi, erano legate al valore del marchio”, spiega l’analista di Morningstar. “Quando il giudizio è stato migliorato, la maggior parte delle volte è successo perché la società ha dimostrato di poter aumentare i prezzi senza perdere clienti o di riuscire a difendersi bene dall’arrivo di nuovi concorrenti. Il peggioramento dei giudizi, invece, spesso è stato legato alla perdita di popolarità del brand e alla difficoltà dell’azienda di mantenere le sue quote di mercato”.

Ma ci sono altre motivazioni che possono portare a variare l’Economic Moat. Come l’arrivo da un altro colosso in grado di imporre al mercato i suoi prodotti (si pensi a Apple (NasdaqGS: AAPL - notizie) con gli smartphone), o lo sviluppo dell’e-commerce che, spesso, è in grado di spostare gli acquisti verso i prodotti di determinati marchi. “Altri fattori, anche se meno comuni, possono essere legati a fattori esterni, come provvedimenti legislativi (è il caso del tabacco, Ndr) o al cattivo uso di un nome da parte di persone e società che lo hanno in franchising”, dice l’analista.