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Non solo abbronzature, sul mare si fa il pieno di energia (di D. Di Stefano)

Offshore wind turbine farm at sunset. (Photo: imaginima via Getty Images)
Offshore wind turbine farm at sunset. (Photo: imaginima via Getty Images)

(di Daniele Di Stefano)

Nel luglio scorso a Singapore è stata inaugurata una fattoria fotovoltaica da 60 megawatt. Quarantacinque ettari di pannelli che galleggiano in un bacino idrico nella parte occidentale della città: uno dei maggiori impianti flottanti mai costruiti. E attualmente a Singapore sono in corso di realizzazione altri quattro progetti analoghi. Per la piccola città-stato asiatica, che entro il 2025 vuole quadruplicare la quantità di energia solare prodotta, l’acqua è la superficie più abbondante a disposizione dove collocare i pannelli.

Le nuove generazioni di impianti galleggianti, sia solari sia eolici (l’Europa ha la leadership mondiale nell’eolico flottante, con circa il 70% di quello installato), daranno una spinta alla transizione energetica (come possiamo leggere anche negli approfondimenti di RES magazine), soprattutto là dove, come a Singapore, le condizioni in acqua sono più propizie che su terra. E l’Italia? L’Italia certamente non è povera di terreni come Singapore, ma ha ottomila chilometri di coste e un’infinità di bacini interni.

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Partiamo dal fotovoltaico. Girolamo Di Francia dell’Enea ci spiega che un pannello solare in acqua lavora meglio, perché grazie alla temperatura più bassa, “rispetto a quelli su terra può guadagnare anche un 10% di efficienza” (capacità di conversione dell’energia solare in energia elettrica, n.d.r.). Ci sono anche altri vantaggi che non riguardano l’energia. Come fossero un ombreggiante, i pannelli tengono più bassa la temperatura dell’acqua: “Diminuiscono anche dell’80% l’evaporazione, che è un problema grave in alcuni contesti. Basti pensare ad alcuni tratti del Po”. E riducono la presenza di alghe, “che significa acque più pulite e, in vicinanza delle dighe per la produzione idroelettrica, significa minori costi di manutenzione”.

Questi vantaggi vanno di pari passo con il principale limite degli impianti flottanti: i costi. “Mediamente sono più alti del 30% per la realizzazione dell’infrastruttura e del 50% per la manutenzione. Non sono numeri drammatici ma bisogna tenerne conto”, chiarisce Di Francia. Bilanciando pro e contro, il ricercatore conclude che questo tipo di installazioni “deve essere considerato quando non ci sia per gli impianti disponibilità di altre superfici”. Escludendo il mare, dove la corrosione e le forze alle quali sarebbero sottoposti comporterebbero danni tali da non giustificare l’investimento (anche se nuove promettenti tecnologie si affacciano sulla scena), di superfici potenzialmente impiegabili in Italia, tra laghi, bacini idrici per irrigazione, vecchie cave, “ne abbiamo per installare 200 gigawatt (GW), 3 volte quello richiesto dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima”.

Ma parliamo di una possibilità teorica cui va sottratto il 60% (“non si può coprire tutto un lago di pannelli, e studi specifici indicano che non si dovrebbe andare oltre il 40% della superficie”) e i bacini non adatti dal punto di vista paesaggistico. “Restano – calcola Di Francia – 20 GW potenziali. Ma io sono più realistico e penso che il flottante diventi un’opzione interessante soprattutto in contesti in cui nelle vicinanze esistono impegni energivori, come gli impianti di irrigazione in agricoltura”. Mettere in piedi “una sorta di scambio sul posto con i bacini idrici nelle vicinanze può effettivamente essere un’opzione interessante. Rispetto a quanto previsto dal Pnrr, questa tecnologia può essere vantaggiosamente utilizzata per coprire buona parte dei 6 terawatt del fabbisogno energetico del settore agricolo”. Se oggi nel nostro Paese esistono solo piccole installazioni “quasi sperimentali”, racconta l’esperto, un aspetto interessante è certamente la truppa di Pmi che producono impianti destinati per ora soprattutto all’estero.

Se il fotovoltaico galleggiante può avere un ruolo importante ma non certo da protagonista nella fornitura di energia green, diverso è il caso dell’eolico. L’eolico flottante è ovviamente più caro di quello onshore e di quello offshore tradizione (“ma i costi si stanno rapidamente riducendo”, spiega Simone Togni, presidente di Anev, l‘associazione delle imprese dell’eolico). Non avendo però bisogno di fondamenta può essere posizionato anche dove i fondali sono più profondi di 60 metri, lì dove di solito i venti sono più forti e regolari.

Le stime ci dicono che quasi l′80% del potenziale eolico offshore del mondo si trova proprio in acque più profonde di 60 metri. Per questo, stando all’International Energy Agency, l’eolico in mare crescerà in maniera esponenziale nei prossimi due decenni grazie all’impulso delle soluzioni galleggianti. Una turbina flottante è fissata su enormi boe galleggianti ancorate al fondale con cavi d’acciaio: ad esempio le boe dell’impianto Hywind Scotland, realizzato in Scozia da Equinor con lo zampino tecnico dell’italiana Saipem, sono cilindri cavi di acciaio con un diametro di 15 metri riempiti di 8.000 tonnellate di acqua di mare e con una zavorra di 5.000 tonnellate di rocce o metalli per farli restare in posizione verticale.

“Il flottante è la soluzione perfetta per il Mediterraneo, un mare dove i fondali sono molto profondi già a pochi metri dalla costa”, racconta Togni. E dove, quindi, la soluzione tradizionale, quella con la pala che poggia su fondazioni, è meno praticabile. “Ecco perché”, continua il presidente di Anev, “è importantissimo che queste tecnologie siano diventate mature da un punto di vista economico, ed è per questo che stanno partendo diverse proposte di autorizzazione a riguardo”.

Sui circa 3,5 GW di progetti per cui sono state presentate al MiTe richieste di valutazione di impatto ambientale, più della metà riguardano il flottante: Canale di Sicilia, Sardegna orientale, Adriatico di fronte a Rimini, e un progetto più piccolo nel Tirreno davanti a Civitavecchia. Il nostro Paese, in questo ambito, ha competenze industriali e di ricerca: abbiamo accennato al contributo di Saipem all’installazione delle turbine di Hywind Scotland, e di recente è stato varato in mare nei pressi del porto di Napoli il primo prototipo in scala di turbina galleggiante Hexafloat (brevetto Saipem pubblicato in attesa di validazione) grazie alla collaborazione tra Cnr e la stessa Saipem.

Quale possa essere il contributo dell’eolico flottante ce lo dicono le stime inviate dall’Anev al Ministero della transizione ecologica: “Tre anni fa prevedevamo 900 megawatt al 2030 con istallazioni tradizionali. Le stime aggiornate recentemente prefigurano 5,5 GW potenziali, tutti progetti realizzabili ed economicamente sostenibili, verificati anche da un punto di vista industriale. I due terzi di questi oltre 4 GW di aumento arrivano dal flottante. Peccato che, visti i cinque anni e mezzo necessari per le autorizzazioni, non vedremo i primi aerogeneratori galleggianti in azione se non a ridosso del 2030”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.