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Non solo eutanasia. Breve lista del ponziopilatismo parlamentare

- (Photo: Ansa)
- (Photo: Ansa)

L’adesione massiccia a sostegno dei referendum sull’eutanasia e la cannabis legali ha dato uno scossone alla politica ed è subito partita la corsa a nuove idee per rendere più macchinoso l’iter di queste consultazioni. Con tanto di dito puntato contro la possibilità di firmare online, con firma digitale. Più che schierarsi contro un nuovo nemico immaginario però, forse, i partiti dovrebbero fare un mea culpa. E concentrarsi su quello che hanno fatto - o meglio non hanno fatto - in Parlamento, che sarebbe giustappunto il luogo naturale dove le leggi si propongono, vengono discusse e, finalmente, nascono. Dovrebbe essere così per tutti i temi, anche per quelli più divisivi. O, forse, innanzitutto per questi. Così, invece, non è. E va da sé che una parte della popolazione a questo punto tenti di raggiungere lo scopo - leggi alla voce “diritti” - in altro modo. Del disinteresse, o della lentezza, delle Camere nel lavorare su certi temi, del resto, non si sono accorti solo i promotori di questi referendum. Se ne è accorta, da anni, la Corte costituzionale, che proprio per spronare il Parlamento a fare il suo lavoro, più volte ha sollecitato il legislatore a intervenire su una questione. A modificare leggi che presumibilmente - non a caso il giudice delle leggi parlava di incostituzionalità presunta - sarebbero state incostituzionali.

Il Parlamento si è sentito spronato da questi temi? Ha accolto con slancio la raccomandazione della Consulta? Manco per idea, con l’unica eccezione dell’innalzamento del fondo per le pensioni degli invalidi civili. La questione è mica da poco. La Corte Costituzionale dice in sostanza alle Camere: “Questa norma è probabilmente incostituzionale, se dovessimo decidere seduta stante dovremmo dichiararla tale. Diamo a voi un po’ di tempo per cambiarla, data la delicatezza della questione”. Il Parlamento - e lo ha sottolineato con una certa chiarezza il presidente della Consulta Giancarlo Coraggio nella sua ultima relazione annuale - tentenna, qualche formazione politica presenta una proposta, ma poi il tempo scade e a decidere restano i giudici della Corte Costituzionale. È successo, guardando solo agli ultimi anni, almeno tre volte. E tra qualche mese potrebbe succedere ancora.

I casi più eclatanti riguardano il suicidio assistito, la fecondazione eterologa all’estero e il carcere ai giornalisti. La prima questione torna attuale in questi giorni, proprio perché il Parlamento non è stato in grado di affrontarla, per due volte, quando avrebbe dovuto. A ottobre del 2018 la corte era stata chiamata a giudicare la costituzionalità del reato di aiuto al suicidio. Era in corso il processo a Marco Cappato per la morte di Dj Fabo e sia accusa che difesa avevano sollecitato la questione di costituzionalità. Il giudice delle leggi invece di decidere subito aveva sospeso il suo giudizio, sollecitando il Parlamento a legiferare. A riempire un vuoto che pesa tra le pagine dei codici, ma soprattutto nella vita delle persone. Di tutta risposta le camere hanno fatto scadere il tempo - un anno - che la corte aveva lasciato loro a disposizione per intervenire. E così nel 2019, a settembre, è stata dichiarata incostituzionale una parte dell’art. 580 c.p, che disciplina l’aiuto al suicidio. Per l’esattezza, quella che non escludeva la punibilità delle persone che - come nel caso di Cappato - aiutano a morire un soggetto, capace di autodeterminarsi, affetto da una patologia irreversibile e totalmente dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

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Una prima applicazione di questa sentenza è arrivata nella primavera di quest’anno, quando il tribunale di Ancona ha obbligato l’Asl a valutare le condizioni di un uomo gravemente malato che chiede di porre fine alla sofferenza. Il giudice ha fatto il suo dovere, anche se la vicenda ancora non è conclusa e la lotta di quell’uomo per i suoi diritti continua a incontrare ostacoli. Il legislatore no.

Qualcosa di molto simile è successo con la fecondazione eterologa praticata fuori dall’Italia da una coppia di donne. Tema complicato, nessuno lo mette in dubbio, ma che necessitano una disciplina, perché - ha spiegato la corte nella sentenza che ha emesso a riguardo - c’è “un grave vuoto di tutela nei confronti del minore” nato da fecondazione eterologa all’estero. Un vuoto che non sarà più tollerabile se si protrarrà l’inerzia del legislatore“. La sentenza, che dichiarava inammissibile la questione, quindi - a meno che non sia investita di casi simili nel futuro la Corte non ci tornerà - è del principio del 2021. Quel “ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana” che la Corte chiedeva, le Camere ancora non l’hanno trovato.

Sul carcere ai giornalisti si è ripetuto lo schema del suicidio assistito: il 9 giugno 2020 la Corte costituzionale sospendeva il giudizio, nella consapevolezza che in Parlamento c’erano alcuni disegni di legge sul tema. “La Corte ha rilevato che la soluzione delle questioni richiede una complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale”. Veniva quindi chiesto al Parlamento di operare “una rimodulazione di questo bilanciamento”. E anche abbastanza velocemente. Neanche a dirlo, le Camere se ne sono lavate le mani, ed ecco che a giugno 2021 ha dovuto decidere la Consulta, con una sentenza che ha fatto discutere: un giornalista può essere mandato in carcere - è il succo del dispositivo - solo in casi di “straordinaria gravità”.

Avrà imparato la lezione il Parlamento? Non è detto. E comunque potremmo scoprirlo presto. Nei primi mesi del 2021 i giudici costituzionali si sono trovati a decidere su una questione molto complessa e delicata: l’ergastolo ostativo. Quella forma di fine pena mai, cioè, che esclude che al condannato per reati gravi che non ha collaborato con la giustizia si possano concedere benefici che alleggeriscano la detenzione, come la liberazione condizionale. È evidente che la questione investe il nostro sistema penitenziario quasi nella sua interezza e richiederebbe una discussione ampia e un minimo di condivisione tra le varie anime della politica. Così la corte, che non ha nascosto le difficoltà che ha avuto per giungere a questa decisione, ha sostenuto che no, l’ergastolo ostativo non è compatibile con la nostra Costituzione. Ma che per superarlo serve una legge. E ha dato al Parlamento un anno di tempo - che scade a maggio 2022 - per produrla. Ora, qualche proposta è stata presentata, ma risulta davvero difficile immaginare che i tempi dettati dalla Consulta saranno rispettati, anche alla luce delle diverse sensibilità politiche sul tema. Potrà dunque succedere ancora che la Corte dovrà fare tutto da sé. Con il rischio, non da poco, di lasciare una normativa incoerente, che sempre le oziose camere sarebbero chiamate a raddrizzare.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.