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La nuova ipotesi: ricapitalizzazione forzata banche italiane

Ancora pochi giorni e finalmente terminerà il nauseante circo mediatico attorno al referendum costituzionale italiano che ormai va avanti da più dei mesi: francamente non se ne può più. Ci hanno spinto alla esasperazione e alla disperazione, chi volesse provare a seguire una qualche trasmissione italiana su scala nazionale di commento allo scenario socioeconomico che contraddistingue il Paese in questo momento si deve sorbire i vari punti di vista dei due schieramenti che ormai sono stati ripetuti sino alla nausea ancora dall’inizio della scorsa estate. Nonostante questo vi è probabilmente qualche milione di italiani che non ha ancora ben compreso nello specifico che cosa si vota e su cosa si vota. Quello che però gli italiani hanno capito molto bene è invece l’interesse sull’esito del quesito referendario da parte dell’establishment finanziario internazionale. Il fatto che testate giornalistiche di altri paesi si schierino platealmente con il fronte del SI auspicandone la vittoria dovrebbe far comprendere a chi in definitiva interessa sul piano pratico il successo del fronte progressista capitanato da Renzi & Company. Altrettanto subdole sono le esternazioni di cataclisma finanziario che ci attendono in caso di vincita del fronte che si oppone alla modifica dell’assetto costituzionale. Dopo quanto accaduto quest’anno con il Regno Unito e la Brexit e negli States con Trump, questi moniti hanno perduto la loro credibilità. I mercati finanziari ormai scontano già la vittoria del NO, stando alle proiezioni ed intenzioni di voto raccolte. Con grande probabilità assisteremo a volatilità durante le sedute di lunedi e martedi, tuttavia questa volta il nostro debito pubblico non dovrebbe essere esposto alla speculazione internazionale grazie al pronto intervento dell’autorità monetaria europea (ricordiamo il famoso scudo anti-spread di fatto mai entrato in azione). La bocciatura della proposta di riassetto costituzionale di Renzi & Company metterà invece in profonda difficoltà l’esecutivo attuale se non addirittura creerà le condizioni per la sua sfiducia in Parlamento (molto probabile).

A questo punto si aprono scenari poco edificanti in ambito politico in quanto il timore per le comunità finanziarie è riconducibile ai rischi di una nuova tornata elettorale. In tal senso qualora il Paese dovesse andare alle urne entro i primi tre mesi del nuovo anno, il rischio che possa essere governato dal M5S è per loro significativo. La paura che hanno i mercati finanziari è legata infatti ad un Paese che viene governato per la prima volta da un movimento politico che non è facile controllare, influenzare o condizionare al pari dei precedenti governi. Per questa ragione si dovrà evitare (secondo loro) che si vada alle urne dopo l’esito del 4 Dicembre. L’angoscia trova il suo fondamento in questo quadro sopra delineato nel riassetto e risanamento di tutta l’industria bancaria italiana, che rimane ancora una incognita cui nessuno è riuscito ancora a risolvere. Banca MPS (Amsterdam: BJ6.AS - notizie) in questi giorni ha avviato il processo di conversione in azioni di quasi tutte le obbligazioni subordinate: l’operazione in atto rappresenta una pratica applicazione della BRRD (Bank Resolution & Recovery Directive). Le banche italiane ormai non possono più aspettare e non si possono soprattutto permettere di aspettare ancora. Una crisi di governo successiva al 4 Dicembre darebbe modo alla speculazione internazionale di attaccare ancora il mercato finanziario italiano, questa volta non il debito pubblico come già fatto osservare, quanto piuttosto tutte le banche italiane quotate che non possono essere difese significativamente come invece i titoli di stato che godono dello scudo europeo. Lo stesso Renzi ha recentemente ammonito gli italiani che si dovranno aspettare un nuovo Monti, probabilmente molto più severo ed intransigente, qualora la riforma costituzionale fosse bocciata dal Paese.

Quanto è stato implementato da MPS (BSE: MPSLTD.BO - notizie) con la conversione volontaria (si fa per dire) dei bond subordinati in azioni rischia di diventare il modus operandi che si utilizzerà da inizio del prossimo anno da parte di quasi tutta l’industria bancaria italiana, caratterizzata da uno status di sottocapitalizzazione e un crollo della redditività. La logica del tanto odiato bail-in (BRRD) trova un fondamento nella eccezionalità e straordinarietà del suo impiego ossia far pagare agli obbligazionisti la ricapitalizzazione della banca che si trovasse in difficoltà. Non possiamo invece considerarla una soluzione di default quando a soffrire non è più una singola banca, ma tutto il settore bancario. Tra l’altro la vicenda MPS produrrà immancabilmente riflessi e conseguenze negli anni a venire circa la convenienza o meno di sottoscrivere ancora obbligazioni subordinate bancarie da parte dei piccoli risparmiatori. Il tutto farà da boomerang anche per le stesse banche negli anni a venire che avranno maggiori difficoltà a vendere il loro debito sul mercato. L’industria bancaria italiana va messa in sicurezza tramite un intervento ad-hoc di portata nazionale, in cui tutte le banche vengono ricapitalizzate obbligatoriamente e forzatamente. Qualche mese fa avevo avanzato l’ipotesi di un prelievo coatto una tantum senza franchigie del 3% su tutti i depositi italiani (escludendo quelli delle persone giuridiche) al fine di drenare circa 55 miliardi di euro da destinare alle sottoscrizioni dei vari aumenti di capitale sociale che necessitano le banche italiane in forza di una loro ricapitalizzazione forzata. State tranquilli che nessuno degli attuali leader di partito proporrà mai niente di simile se non desidera porre fine immediata al suo futuro politico, timore che tuttavia non dovrebbe avere invece un nuovo governatore tecnico, benviso dall’establishment politico europeo.

Provo a riformulare il tutto con una proposta molto più attraente che magari potrà interessare maggiormente i leaders del M5S piuttosto che tutti gli altri essendo meno invasiva della precedente: si tratta di costituire il Fondo Zeus (nella mitologia greca, Zeus (Shenzhen: 002354.SZ - notizie) era il padre di Atlante, secondo alcune interpretazioni). Considerata una franchigia minima sui depositi di 100 euro, possiamo attuare su tutto il saldo residuo un prelievo forzoso del 3% volto alla sottoscrizione di azioni di un nuovo fondo di salvataggio bancario configurato come public holding company in capitale di rischio (denominato per l’appunto Fondo Zeus in antitesi con il Fondo Atlante). Sostanzialmente tutti i depositanti (tranne le persone giuridiche) subiscono un prelievo del 3% sulla propria giacenza a vista (conteggiata al 30.09.2016): può essere tuttavia ipotizzata anche una aliquota di partecipazione a scaglioni di progressività a seconda della dimensione quantitativa del deposito. A fronte di questo prelievo vengono quindi assegnate pariteticamente azioni all’interno del nuovo Fondo Zeus che si occuperà di garantire e salvaguardare il sistema bancario italiano (le azioni avranno nominativamente un valore unitario di pochi centesimi in modo da semplificare il frazionamento a seguito della conversione con il prelievo forzoso). Il Fondo Zeus potrebbe in tal senso trovarsi ad avere una disponibilità di risorse finanziarie stimata tra i 50 ed i 60 miliardi di euro, i quali verranno impiegati per la sottoscrizione di aumenti di capitale con clausola di scissione privilegiata in tutte le principali banche italiane di interesse nazionale (senza che gli attuali azionisti possano partecipare al relativo nuovo aumento pro-quota).

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Il Fondo Zeus in questo modo diverrà nella maggior parte dei casi l’azionista di maggioranza relativa all’interno dei vari soggetti bancari ed il depositante che si vedrà colpito dal prelievo in cambio possederà azioni di questo stesso nuovo fondo italiano. Le azioni del Fondo Zeus potranno essere vendute e negoziate sul mercato solo dopo un anno dalla sua creazione, questo darà tempo alle banche italiane di stabilizzarsi e consentirà agli stessi depositanti di beneficiare di questo salvataggio. Sostanzialmente si tratta di un fondo di salvataggio in stile Atlante, solo che viene riservato al pubblico retail piuttosto che ai soliti investitori istituzionali. L’unico assunto che dovrà essere imposto è la composizione del consiglio di amministrazione del Fondo Zeus: per nessuna maniera si dovrà permettere la nomina a consiglieri e dirigenti di esponenti del mondo politico, quanto piuttosto di manager e banchieri di comprovata capacità e competenza. In questo modo tutta l’industria bancaria si sarà rafforzata e rinvigorita, cesseranno le paure ataviche degli italiani circa la solidità della loro banca, i fondi di investimento ritorneranno ad investire sulle azioni di banche italiane le quali ritrovandosi più sane e meno esposte potranno ricominciare a fare utili e prestiti, si innescherà pertanto un circolo virtuoso e benefico per tutto il Paese. Ne beneficeranno nel medio e lungo termine proprio tutti i soggetti che saranno azionisti del Fondo Zeus, ossia i depositanti e correntisti italiani. Forse è per questo motivo che nessuno lo ha ancora proposto come soluzione: non si deve permettere in tal senso che ci possa guadagnare il signor nessuno, meglio lasciare simili opportunità di banchetto ai soliti J.P. Morgan & Company.

Autore: Eugenio Benetazzo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online