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Nuova Lira e rilancio dell’economia italiana

Il break-up dell’euro e l’adozione della Nuova Lira da parte dell’Italia sono strade percorribili? Un’argomentazione contraria a questa possibilità può essere sintetizzata come segue.

In un’economia mondiale fortemente finanziarizzata, dove le transazioni sul mercato dei cambi sono decine di volte superiori, per controvalore, agli interscambi di beni e servizi, è difficile immaginare che un’Italexit potrebbe essere condotta in modo sufficientemente ordinato, con il valore della Nuova Lira che si porta rapidamente al livello implicito nei differenziali d’inflazione e di competitività accumulatisi dall’introduzione dell’euro in poi.

Differenziali che implicherebbero un cambio della Nuova Lira contro dollaro poco variato rispetto all’attuale 1,07, mentre l’euro salirebbe probabilmente interno a 1,30 – sempre che non si verifichi una rottura completa, nel qual caso il Nuovo Marco potrebbe raggiungere 1,40, forse anche 1,50 contro dollaro.

Quest’ultima per l’Italia sarebbe una situazione in effetti molto favorevole: grosso recupero di competitività verso il resto dell’(ex?)Eurozona e in particolare della Germania, e cambio sostanzialmente stabile nei confronti della valuta in cui si paga la maggior parte delle materie prime (il dollaro).

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Ma – questa è l’argomentazione – i flussi finanziari e speculativi implicano una volatilità molto più alta, e sono quindi da mettere in conto fenomeni di “overshooting” (eccesso di reazione). In altri termini, la Nuova Lira potrebbe ritrovarsi a livelli di cambio significativamente inferiori a quelli impliciti nei differenziali di inflazione e competitività. Quanto inferiori ? 0,90 contro dollaro ? 0,80 ? è molto difficile da prevedere.

Ora, che i movimenti delle valute, così come quelli (ad esempio) degli indici azionari, siano dominati nel breve-medio termine da flussi di finanza speculativa e possano discostarsi significativamente, per qualche anno, dai valori intrinseci, è senz’altro vero.

Ma altrettanto vero è che i valori intrinseci sono un “attrattore” attorno al quale queste fluttuazioni oscillano, per poi riconvergere. Nell’analisi dei mercati azionari, questo fenomeno è notissimo con il nome di “mean reversion” (ritorno verso la media). E si applica anche ai cambi.

In altri termini, fenomeni di overshooting tali per cui, nel primo periodo d’introduzione, la Nuova Lira avrebbe un cambio più debole del suo valore intrinseco sono senz’altro possibili, ma che cosa accadrebbe ? che l’economia italiana diventerebbe ipercompetitiva, innescando il meccanismo di riequilibrio. Il processo di “ritorno alla media” potrà richiedere qualche anno, ma non certo decenni. E nel frattempo le aziende italiane guadagnerebbero mercato sia all’estero, che sui mercato interno di beni e servizi esposti alla concorrenza estera.

Altri punti da tenere in considerazione:

UNO , l’Italia, contrariamente alla vulgata dominante, non è affatto un paese fortemente indebitato. E’ alto il rapporto debito pubblico lordo / PIL, superiore al 130%. Ma due terzi del debito pubblico sono detenuti da residenti italiani, e la posizione patrimoniale netta del paese verso l’estero a fine 2016 era sì negativa, ma per solo il 17% del PIL. Le attività patrimoniali italiane verso l’estero, in altri termini, coprono quasi interamente le passività.

DUE , questo deficit patrimoniale estero del 17% è peraltro in rapida diminuzione, in quanto il saldo commerciale estero dell’Italia è ampiamente positivo (quasi 60 miliardi nel 2016).

TRE , recuperando le sue leve di politica economica, l’Italia potrebbe generare un forte recupero di domanda interna, mettendo in atto espansioni del deficit pubblico non superiori a un paio di punti per un paio d’anni. Non stiamo parlando di espansioni al 10% o più, come peraltro sono state serenamente attuate da USA, Regno Unito, Giappone, ma anche Spagna e Irlanda (di cui poi ci vengono a dire che “nonostante l’euro” hanno ottenuto una ripresa economica decente, o comunque migliore rispetto a quella che NON ha conseguito l’Italia…).

QUATTRO , al maggior deficit pubblico, in assenza di un peggioramento dei saldi commerciali (che la svalutazione, come anche – e come proposto nel progetto Moneta Fiscale – un abbassamento del cuneo fiscale, eviterebbe) corrisponde peraltro, per pura e semplice identità contabile, maggior risparmio privato.

CINQUE , la formazione di risparmio interno di pari passo al maggior (temporaneo) deficit pubblico è già di suo un forte canale di finanziamento dei deficit. Ma in aggiunta a ciò, e ancora più rilevante, la garanzia su deficit e debito pubblici verrebbe dalla ritrovata potestà statale di emettere moneta – la moneta in cui è denominato il debito pubblico.

E – SEI – l’attuale, enorme output gap implica che l’azione espansiva sulla domanda, a livello di qualche punto di PIL, non può generare forti incrementi d'inflazione, almeno finché la parte preponderante del gap è stata recuperata. E a quel punto il deficit rientra da sé, in modo “sano”, cioè per effetto della ripresa.

Se da anni mi prodigo – io e altri, s'intende – per sviluppare e promuovere la Moneta Fiscale, è perché rompere un’unione monetaria è un processo operativamente, giuridicamente e politicamente complicato. Ma se si trattasse solo di rimuovere un peg, come nel 1992, non avrei dubbi. E se alla fine si arriverà comunque al break-up, la considero una soluzione complessa e traumatica: ma comunque una soluzione, rispetto a continuare con l’attuale, catastrofico, assetto dell’Eurosistema.

Autore: Marco Cattaneo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online