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Oro in bilico

Venerdì 27 maggio sono arrivati dati rilevanti dal fronte Usa: il PIL americano e il discorso della Yellen: il primo dato è risultato in linea con le attese degli analisti, fotografando un’economia in leggero miglioramento e con i profitti aziendali, al netto dell’imposizione fiscale, in crescita dell’1,9%, rispetto al trimestre precedente.

Il presidente della Federal Reserve Janet Jellen, ha sottolineato che il percorso del rialzo del costo del denaro, “se l’economia e il mercato del lavoro continueranno a migliorare” sarà quantomeno auspicabile. Ma “una stretta di politica monetaria non sarà troppo aggressiva o affrettata”, perché questo potrebbe creare una frenata della flebile ripresa.

Per quanto riguarda l’oro va sottolineata la fase critica. Il ritorno sotto il livello di supporto chiave a $1.230 (area che aveva superato con decisione all'inizio di maggio e che in precedenza aveva frenato le velleità rialziste sin dall'agosto del 2013), potrebbe indicare che il metallo prezioso tende a ritornare verso il supporto psicologico di $1.200, con possibili allunghi fino a $1.190. E’ un livello di supporto estremamente importante per stabilire il probabile trend futuro.

Paradigm Capital stima infatti che tra il 80 e il 90 per cento dei costi operativi di estrazione media sono coperti quando l'oro raggiunge 1250 $ l'oncia.

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Il metallo è ora sotto questo livello, e questo potrebbe mettere in difficoltà alcune società del settore. Il mercato dell'oro segue tuttavia delle sue logiche ben precise che spesso si allontanano dalla visione classica che potrebbe fuorviare le analisi di routine.

Ad esempio è interessante sottolineare che spesso ad ogni diminuzione di prezzo corrispondono ingenti vendite da parte dei Fondi di investimento. E in contrapposizione gli acquisti delle Banche Centrali, sono determinati più dai volumi che dal prezzo.

Inoltre, un'attenzione particolare andrà posta alle decisioni della Federal Reserve in materia di tassi di interesse, poiché un eventuale ritocco insù dei Fed Funds, metterebbe in seria difficoltà molti dei mercati emergenti, che detengono una grossa quantità di debito in dollari americani. Ma questa è un’ipotesi tutta da verificare, naturalmente.

Autore: Carlo Vallotto Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online