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Outlook 2018. Volatilità all'orizzonte?

Rischio cigni neri in aumento per: volatilità compressa, record di posizioni short volatility, intelligenza artificiale/algoritmi automatici, virus/attacchi informatici, geopolitica (USA/Corea, Medio Oriente), rallentamento Cina, accelerazione dell’inflazione.

Il 2017 è stato per i mercati un anno estremo e anche il 2018 promette di esserlo. Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) 2017, l’indice S&P500 è salito del 19.42%% e ha messo a segno 14 chiusure mensili positive consecutive, cosa mai accaduta nella storia. Con oscillazioni medie giornaliere dello 0.31% sull’S&P500, le più contenute da oltre mezzo secolo, l’indice di volatilità VIX il 3 di novembre 2017 ha fatto la chiusura più bassa di sempre, a 9.14. Il cambio Euro/Dollaro USA è salito da 1.0529 a 1.2004 tra apertura e chiusura del 2017, con un + 14%, la migliore performance dal 2003. La salita strabiliante di Bitcoin è stata paragonata, per ampiezza e velocità, alla bolla dei tulipani nell’Olanda del 1600 (con un tulipano si comprava una casa). Ma forse ancora più folle e impressionante di bitcoin è stata la performance della Borsa del Venezuela, la migliore al mondo nel 2017, con una salita, tradotta in euro, del + 3395% (non è un errore di battitura e in dollari è ancora maggiore, il 3884%), nonostante il Paese sia in parziale default sul debito. La Borsa del Venezuela quota oggi circa 800 volte gli utili. Cosa immaginare di più estremo?

Il 2018 si apre col tema caldo dei tassi d’interesse e dell’inflazione.

Nei verbali dell’ultima riunione della BCE (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) in dicembre si evidenzia che la curva dei rendimenti americana è la più piatta in oltre un decennio con una differenza di 60 punti base di rendimento fra la scadenza 2 anni e la scadenza 10 anni (la curva dei rendimenti, detta anche struttura a termine dei tassi, rappresenta graficamente i rendimenti dei bond calcolati per scadenze temporali). Il fenomeno, in parte dovuto ai recenti rialzi dei tassi da parte della Fed, è sotto stretta osservazione, dal momento che l’appiattimento della curva dei rendimenti ha anticipato una recessione economica in diverse occasioni, l’ultima volta nel 2007.

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Il differenziale di rendimento 10-2 anni è di circa 100 punti base in Europa, dove le stime BCE della crescita del prodotto interno lordo reale europeo sono del 2.4% nel 2017, del 2.3% nel 2018, dell’1.9% nel 2019 e dell’1.7% nel 2020. L’inflazione europea è stimata all’ 1.5% nel 2017, all’1.4% nel 2018, all’1.5% in 2019 e all’1.7% nel 2020.

È vero, l’inflazione “core”, al netto di alimentari ed energia, è più bassa e questo è l’argomento principe usato dalla BCE per tenere i tassi a zero, ma è comunque molto anomalo che, con dati economici in continuo miglioramento, il denaro renda nulla e che la curva dei rendimenti dell’Eurozona sia sostanzialmente identica a quella dell’anno scorso.

Oltre al ritmo di crescita del Pil, ormai in linea con quello americano, in Europa, il settore manifatturiero, trainato da forti tassi di espansione della produzione, nuovi ordini e aumento dell’occupazione, ha concluso in maniera positiva il 2017, con l’indice IHS Markit PMI a 60.6, migliore risultato mai raggiunto dal 1997, data di inizio dell’indagine Markit (NasdaqGS: MRKT - notizie) .

La riduzione degli stimoli monetari da parte della BCE che quest’anno dimezzerà il ritmo di acquisti di Titoli da 60 a 30 miliardi al mese è un altro elemento che gioca a favore di un aumento dei rendimenti dei bond dell’Eurozona.

Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha alzato tre volte il costo del denaro l’anno scorso (marzo, giugno, dicembre), quattro volte considerando il primo rialzo di dicembre 2016. I tassi di riferimento USA sono al target range 1.25-1.50%. La Fed ha detto che vorrebbe alzare i tassi d’interesse 3 volte anche quest’anno, oltre ad alleggerire l’enorme portafoglio Titoli. L’inflazione “core” americana (quella che la banca centrale guarda per decidere) è salita dello 0.3% in dicembre, il più forte rialzo da gennaio 2017. Le vendite al dettaglio sono crescite dello 0.4% in dicembre 2017 rispetto al mese precedente e del 5.6% da dicembre 2016, dati molto buoni.

Tutti fattori che supportano un rialzo dei tassi d’interesse.

Valute

La debolezza di dollaro e la forza dell’euro, protagoniste nel 2017, dovrebbero continuare anche nel 2018. I tassi a zero nell’area euro stonano sempre più con i dati macro in continuo miglioramento e il mercato sta già anticipando i futuri rialzi dei tassi nell’area euro, comprando euro. Il differenziale di rendimento tra Titoli di Stato USA e Germania è sui massimi storici su varie scadenze, gap che dovrà stringersi.

La riforma fiscale USA, con il deficit di bilancio che si prospetta per realizzarla, gioca a favore di un aumento dell’inflazione e contro dollaro. Il dollaro, dopo il lungo rally 2014-2016, nel 2017 si è indebolito contro le principali valute.

Geopolitica ed elezioni italiane

Dopo l’annuncio delle elezioni italiane, previste il 4 marzo, il rendimento dei BTP italiani è decollato in pochi giorni dall’1.6% a oltre il 2% sulla scadenza decennale, scontando futura volatilità. Difficile far previsioni sull’esito delle elezioni e tanto meno sulla reazione dei mercati (lo abbiamo visto con Trump), ma il tema elezioni italiane terrà banco nella prima parte dell’anno. Certamente, la reazione di mercati è stata molto forte dopo la vittoria netta di Trump e Macron. L’Italia si presenta alle elezioni debole. Secondo il FMI, dati di ottobre il prodotto interno lordo mondiale è cresciuto al passo del 3.7% l’anno scorso, i Paesi emergenti al 4.9%, le economie avanzate al 2% e l’Italia all’1.5% (i dati della WorldBank vedono crescita più moderata).

La disoccupazione italiana all’11% è maggiore della media europea all’8.7%. Il rapporto tra debito e prodotto interno lordo più elevato, al 135%, nonostante un decennio di tassi a zero che avrebbe dovuto aiutare a ridurre il debito e accelerare la ripresa.

Sarà l’Italia ad accendere la miccia della volatilità?

OPERATIVAMENTE E PER CONCLUDERE

Espansione economica, utili aziendali in miglioramento e bassi tassi d’interesse sono il cocktail che ha generato il forte rialzo dei mercati azionari. Le banche centrali, memori di errori passati, stanno cercando in tutti i modi di tenere i tassi bassi il più a lungo possibile. In questo senso, il 2018 potrebbe procedere tranquillamente come l’anno passato, tanto più in Europa dove l’assenza di premio al rischio sui bond giocherebbe a favore dell’azionario, “ma”: negli USA la situazione sta cambiando. Il rendimento sui Titoli di Stato USA a 2 anni, all’1.98%, è oggi superiore al dividend/yield dell’indice S&P500, all’1.86%: il reddito fisso americano torna a essere un’alternativa sensata all’azionario americano, e questo potrebbe dirottare il denaro dal mercato azionario a quello obbligazionario, generando volatilità.

Il secondo “ma” è la concentrazione degli investitori su pochi titoli, in particolare sui tecnologici, che ha caratterizzato gli ultimi anni, insieme a una continua rotazione settoriale. Sfiducia verso l’establishment, in un mondo con livelli di debito crescente, gli investitori hanno privilegiato società con poco debito, flussi di cassa costanti o crescenti, e capacità di innovazione. Società come Amazon o Google, pur non staccando dividendi, hanno ripagato gli investitori con la forte salita dei corsi azionari. Gli Stati se ne sono accorti e, alla ricerca di denaro per far quadrare i conti, hanno da tempo nel mirino la fiscalità agevolata dei giganti high tech. Esempio recente, la Francia ha aperto un’indagine su Apple (NasdaqGS: AAPL - notizie) per “truffa” e “obsolescenza pianificata” a danno dei consumatori. Poi c’è il rischio “sicurezza”: in un mondo ad alta velocità tecnologica, una falla informatica sarebbe devastante. Un cambio di sentiment degli investitori sul settore high tech americano stravolgerebbe in un attimo l’aspetto dei mercati.

Il livello estremamente basso della volatilità in coincidenza con un record di posizioni “short volatility” (flussi straordinari sugli ETN short volatility), è altro terreno fertile per improvvisi cambi di tendenza, tanto più in un ambiente di trading oggi prevalentemente algoritmico.

Infine, c’è da considerare la possibilità di un’accelerazione imprevista dell’inflazione se i prezzi del petrolio dovessero salire ancora. Il crude oil è salito dal minimo di 42 dollari al barile di giugno 2017 ai 64 dollari di oggi, un rialzo di oltre il 50% in 6 mesi.

Insomma, impossibile prevedere la causa, ma il cigno nero potrebbe ripresentarsi: qualche opzione put in portafoglio sembra la forma di assicurazione più opportuna.

Sulle Borse, rimaniamo positivi sul settore petrolifero. Nell’ottica della rotazione settoriale, il rally estremo sui tecnologici suggerisce alleggerimenti/vendite, per posizionarsi sui titoli sottovalutati dopo il massacro di vendite dal confronto con Amazon.

Attenzione alla componente valutaria del portafoglio: la debolezza del dollaro favorisce le Borse americane e, viceversa, un eccessivo rafforzamento dell’euro frena le Borse europee. D’altro canto, va ricordato che la performance del portafoglio di un investitore europeo si calcola in euro: facendo bene i conti a fine anno, si scopre che la Borsa i Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online