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Padova, la denuncia della studentessa: "Ho contratto l'Hiv in laboratorio durante la tesi"

Una storia inquietante, quella di cui è vittima una studentessa di Padova che ha contratto l'Hiv mentre svolgeva alcuni esperimenti per il completamento della sua tesi di laurea in un laboratorio di un'università europea. Dopo due denunce (una all'ateneo straniero dove ha preso il virus e l'altra all'ateneo italiano dove era iscritta) e una battaglia durata cinque anni per dimostrare la verità, la ragazza ora chiede un maxi risarcimento.

"Lo faccio per tutti i giovani come me, che consegnano le loro vite nelle mani di chi dovrebbe tutelarle. Perché nessun altro debba affrontare il mio calvario", spiega la diretta interessata, il cui nome non può essere rivelato, così come quello delle università frequentate.

GUARDA IL VIDEO:Identificato un nuovo ceppo del virus Hiv

Come è stato contratto il virus

Al cronista del Corriere della Sera che le chiede come sia successo, la ragazza spiega che le erano "stati fatti manipolare pezzi del virus, in teoria un virus che non poteva replicarsi perché difettivo, in teoria un'operazione senza rischi". Ma tutto in teoria, perché in pratica invece non è stato così: la studentessa contra il virus .

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Alcuni scienziati, nei cinque anni successivi, sono riusciti a dimostrare che, per quanto non sia lo stesso virus generalmente circolante tra esseri umani, ha la stessa sequenza genetica di quelli costruiti in laboratorio. E così è saltata fuori la verità: lei, l'Hiv, l'ha presa proprio dal laboratorio dove studiava.

“Nessuno mi aveva preparata al laboratorio”

"Il mondo mi è crollato addosso", racconta la ragazza al Corriere. Un risarcimento milionario appare ora il minimo che si possa fare per la studentessa, che spiega: "Nessuno preparò me e gli altri studenti che entrarono in quel laboratorio a quegli esperimenti - prosegue -. Non ricevemmo alcun corso, nessuna indicazione sulla sicurezza. In tutti questi anni né l’università italiana, dove mi sono laureata con 110 e lode, né quella straniera, dove è avvenuto l’incidente, si sono interessate a me. Sapevano tutto, ma mai una parola o una telefonata: mi hanno lasciata sola".

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