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Il sistema "paga quanto vuoi"

L’originale formula "pay what you want" sta riscuotendo grosso successo negli Stati Uniti. Ma i rischi sono dietro l’angolo

Il sistema "paga quanto vuoi"

Entrare in un negozio, scegliere un prodotto e decidere liberamente quanto pagarlo. Non è l’aspirazione di qualche teoria utopica né l’ultima offerta di un negozio stremato dalla crisi, bensì un sistema sempre più in voga negli Stati Uniti. I primi casi di questo genere riguardarono piccoli teatri che, all’inizio del Duemila, utilizzarono la formula per attirare più spettatori. Successivamente il “pay what you want” è stato adottato da numerosi ristoranti americani. Sul menu è indicato un prezzo consigliato, ma il cliente può stabilire in totale autonomia quanto spendere per ogni pietanza. Un importante contributo all’affermazione del fenomeno è arrivato nell’ottobre 2007, quando i Radiohead distribuirono il loro settimo disco, “In Rainbows", tramite il download sul loro sito web. La famosa rock band inglese diede la possibilità agli utenti di decidere liberamente quanto pagare per scaricare l’intero album. Fu un’operazione dall’enorme portata rivoluzionaria e negli anni successivi sono stati numerosi i musicisti che l’hanno adottata.

Nel maggio 2010 a Clayton (Missouri) un ristorante della catena “Panerabread” ha lanciato il “pay what you want”. In breve la formula è stata proposta anche in altri punti vendita del marchio e ha riscosso un successo enorme contribuendo a fidelizzare la clientela. Questo originale sistema di pagamento non è rimasto circoscritto allo spettacolo e alla gastronomia, ma ha registrato consensi anche in ambito sanitario. A Pasadena, in California, un gruppo di medici l’ha sperimentato nella primavera del 2010 con i propri pazienti. E i risultati sono stati sorprendenti. La procedura ha rappresentato una sorta di sondaggio per verificare il giudizio sulle cure ricevute: la media dei compensi è stata elevata e si è innescato un meccanismo partecipativo che ha abbattuto la consueta diffidenza verso il personale medico.

Il sistema “paga quanto vuoi” costituisce un rovesciamento delle categorie economiche classiche. “Le procedure di acquisto e vendita sono impostate sulla base del valore di scambio – spiega Patrizio Di Nicola, sociologo e docente di Sistemi organizzativi complessi presso la facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza –. Chi vende un prodotto ne stabilisce un valore che determina il prezzo. Con la formula del pay what you want l’equazione si capovolge dato che il prezzo è fissato dall’acquirente in base al valore d’uso che esso ritiene più adeguato”. La procedura si è affermata, prevalentemente negli Stati Uniti, nel corso dell’ultimo decennio. Tuttavia non è una novità assoluta, poiché “riprende il principio su cui era fondato il meccanismo dello shareware esploso negli anni Novanta – prosegue Di Nicola –. Gli utenti scaricavano un software e, dopo averlo utilizzato per un lasso di tempo limitato, decidevano quanto pagare per l’acquisto definitivo”. I vantaggi sono consistenti, soprattutto per il mercato online. “Le vendite di musica, programmi e prodotti culturali traggono giovamento da questo sistema grazie alla crescente fidelizzazione che cementa il rapporto con i clienti”.

I rischi sono però dietro l’angolo. “Nel lungo periodo tutti potrebbero adeguarsi al prezzo più basso che diventerebbe inevitabilmente inferiore ai costi di produzione”. Pericoli e svantaggi possono penalizzare anche i consumatori che, “attratti dalla possibilità di abbattere la spesa per ogni singolo prodotto, potrebbero moltiplicare gli acquisti e trovarsi inaspettatamente con le tasche svuotate”.

La formula del “paga quanto vuoi” ha attecchito negli Stati Uniti, ma fatica a diffondersi altrove. Dopo il successo su Internet, negli ultimi tempi viene proposta da molte catene di ristorazione. Sarebbe possibile importare il modello anche in Italia? “Il fatto che l’idea abbia registrato ottimi riscontri negli Usa è dovuto al rapporto molto particolare tra gli americani e il cibo – ammonisce Di Nicola – Gli italiani, invece, assocerebbero la possibilità di pagare poco alla scarsa qualità del prodotto”. Senza dimenticare poi le profonde differenze culturali. “Nel mondo anglosassone il valore dei beni in vendita è valutato con maggior equità rispetto all’Italia. Il rischio è che nel nostro Paese le persone possano approfittarsene, a maggior ragione – conclude Di Nicola – in una fase di crisi acuta come quella che stiamo attraversando”.