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Pasolini improbabile icona no-vax

Rome, Italy. Italian writer and movie director Pier Paolo Pasolini is seen during the shooting of
Rome, Italy. Italian writer and movie director Pier Paolo Pasolini is seen during the shooting of

Pier Paolo Pasolini icona no-vax? Improbabile. Ai morti non andrebbero attribuiti pensieri postumi. O almeno così eleganza pretende. Chi ha detto che Pasolini porterebbe attualmente in piazza la sua voce, a protestare contro la “dittatura sanitaria”, magari accanto a chi affermi che l’epidemia del Covid-19 nasconda un complotto globale? Sulla bacheca social di persone (presumibilmente) ostili al vaccino e, così ancora c’è da immaginare, alla “schedatura” del green pass, scorgo, incorniciate con partecipata commozione retorica zoppicante, alcune affermazioni che appartengono proprio a Pier Paolo Pasolini, espressamente riferite alla sua rivolta a oltranza contro l’omologazione consumistica, nel rifiuto del “progresso”, parole storicamente datate e connotate, sia detto per chiarezza:

“Io sono un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere e il calare del sole sui campi, tra i vecchi, fedeli nitriti, tra i santi belati; che è poi vissuto in piccole città dalla stupenda forma inespressa dalle età artigianali, in cui anche un casolare o un muricciolo sono opere d’arte, e bastano un fiumicello o una collina per dividere due stili e creare due mondi. Non so quindi cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo”.

Le ho riportate quasi per esteso poiché, sia pure in filigrana, mostrano, così temo, la cifra principale che scandirà il prossimo - la ricorrenza cade il 5 marzo 2022 – ormai imminente anniversario della nascita del più evidente poeta “civile” del trascorso secolo; Antonio Gramsci, politico e filosofo comunista, tra i suoi riferimenti perfino poetici.

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Cento anni esatti, proprio così. Eppure ad alcuni di noi sembra ieri che ne leggevamo le invettive politiche, le riflessioni di segno antropologico (si pensi all’articolo “contro i capelloni”) sul “Corriere della Sera”, partecipando al dibattito collettivo sullo “scandalo”, parola ormai desueta, che giungeva anche dai suoi film, “Il Decameron” su tutti.

Essere fraintesi appartiene alle prevedibili eventualità dell’umano; ancora più da morti, da trapassati, fraintesi e insieme travisati.

La persona in carne e ossa Pasolini è assente al mondo dal novembre del 1975. Nei decenni che hanno fatto seguito alla sua scomparsa, lo scrittore, il polemista, il poeta “corsaro”, il regista, è stato evocato in modo puntuale e continuo, fra molto altro, per quel suo atto di denuncia: “Io so i nomi”, riferito alle menzogne di Stato sulle stragi: Piazza Fontana e oltre. E ancora per una nostalgia riferita al tempo delle “lucciole”, il mondo pre-industriale, contadino; e ancora, altrettanto, così da destra, per il suo rifiuto dell’aborto.

Infine, su tutto, appunto, come cadavere sfigurato sullo spiazzo sterrato dell’Idroscalo di Ostia, la sconfitta della sua “disperata vitalità”, bulimica omosessualità venata perfino di masochismo, come mostrano alcune pagine di “Petrolio”.

Un caso in chiaroscuro di cronaca criminale, da osservare muovendo da dubbi, ragioni e tecnica spicciola di un assassinio che lo vede “martire” per alcuni, esempio di “depravazione” per altri, come nelle invettive fotografiche che gli riservava il settimanale di destra “Il Borghese”: una infinita autopsia postuma, quasi. Delitto politico o tragica eventualità di una condotta personale e sessuale al limite d’ogni possibile rischio?

Non si può dire che altrettanta attenzione critica, polemica e perfino apologetica abbia riguardato altre figure di intellettuali suoi contemporanei che il nostro Paese, “orribilmente sporco”, così nelle parole dello stesso Pasolini, che abbiamo visto sfilargli accanto.

Ho però una sensazione premonitrice: a dispetto della complessità dell’autore Pasolini, e perfino del dato cronologico della sua stessa morte, i giorni, le settimane, i mesi, l’intero anno che ne accompagneranno le celebrazioni, il centenario tondo, vedrà il volto, la voce e il corpo stessi di Pier Paolo Pasolini innalzati segnatamente dalla ampia e variegata comunità che ormai d’abitudine definiamo no-vax e complottista, ossia da chi affermi l’esistenza in atto di una “dittatura sanitaria”. Dunque, Pasolini impropriamente, arbitrariamente sollevato come totem, garante morale immobile della denuncia contro il “regime” del “pensiero unico”, del “grande reset” e ogni altra categoria che voglia muovere attraverso i social e la sua piazza un sentire subculturale espressamente antisistema, perfino nell’accezione fascista del termine.

Non sarà così affatto semplice ribadirne il marxismo che dimorava in lui, ammesso che questa parola abbia ancora realtà nel dibattito delle idee.

Assai più probabilmente, in nome di ciò che i psichiatri definiscono pensiero magico, il rifiuto cieco e ostinato d’ogni razionalità, risulterà impossibile sottrarre alla falsificazione chi scriveva che “L’intelligenza non avrà mai peso, mai nel giudizio di questa pubblica opinione. Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai da uno dei milioni d’anime della nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato: irreale è ogni idea, irreale ogni passione, di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l’ha mai liberato”.

I primi germi di questa attitudine qualunquistica, propria delle opinioni assimilabili agli ormai paradigmatici “tatuatori e antennisti laureati su Facebook” (cit.) in nome della difesa di chissà quali “belle bandiere” della (presunta) libertà dal presidio poliziesco sanitario della scienza, li vediamo fiorire in rete, attraverso l’attribuzione impropria del volto del cadavere Pasolini alla necessità di un ritrovato antagonismo che si nutre di poche apodittiche sentenze: “… quella gloriosa bandiera è stata calpestata soprattutto dai suoi eredi che si sono venduti al globalismo capitalista almeno da noi in Italia, e tutto questo avrebbe trovato il Poeta del tutto contrario come peraltro si evince dai suoi scritti.” (sic) e ancora: “… quando una persona dice la verità e fa autocritica diventa scomodo” (sic) cui segue faccina con lacrima.

Anche dai nostri occhi, si “evince” qualcosa. Sarà tempo perso ricordare che ai morti non dovrebbero essere attributi pensieri e adesioni mai espressi. Povera la nostra battaglia persa in partenza.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.