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Pausa bagno in ufficio, le aziende cercano di vietarla. Ecco cosa dice la legge

Bagni pubblici

Alla Water Saver, una ditta statunitense che produce rubinetti, ogni minuto è prezioso. L’azienda di Chicago ha scelto una strada davvero singolare per combattere la crisi e ottimizzare la produttività: non si è limitata a ridurre a sei minuti al giorno il tempo per adempiere a tutte le attività connesse ai bisogni fisiologici e di igiene personale. No, è andata oltre, riservando un premio di 20 dollari al mese (un dollaro al giorno) ai dipendenti che resistono alle otto ore lavorative senza mai andare in bagno.

Sembra uno scherzo, ma non lo è. Come fare a controllare i dipendenti? Semplice, con un badge. Ogni ingresso in bagno viene “strisciato”, cronometrato e documentato. Hai fatto pipì? Niente premio. Per la WaterSaver non c’è nulla di strano, su questo punto la dirigenza è coesa: il Ceo Steve Kersten ha detto che a maggio ben 120 ore sono state perse a causa delle pause-bagno al di fuori dei tempi di pausa assegnati.

L’azienda ha anche stabilito un processo disciplinare in tre fasi che inizia con un richiamo verbale o scritto, una successiva sospensione e, in un terzo tempo, il licenziamento.

Qualche giorno fa, la Gipicco’s, azienda di prodotti cosmetici con sede a Paderno Dugnano è salita agli altari delle cronache per un episodio simile, anzi, decisamente peggiore. Nella fabbrica dell’hinterland milanese, infatti, la pausa-bagno non esiste e per ogni impellenza fisiologica occorre attendere la pausa o “farla davanti al macchinario”, come è stato elegantemente suggerito da uno dei proprietari a un proprio dipendente qualche settimana fa.

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La legislazione italiana è chiara: secondo la legge n. 300 dello Statuto dei lavoratori del 20 maggio 1970, ogni lavoratore subordinato ha diritto ad una pausa di almeno 10 minuti non retribuiti quando presti l’attività per almeno 6 ore nella giornata. Nel caso della giornata spezzata (mattina+pomeriggio) la pausa potrà coincidere con quella del pranzo, salvo diversa regolamentazione interna o contrattazioni collettive che dispongano condizioni di miglior favore.

Per quanto riguarda i sistemi messi in campo per controllare il tempo perso in bagno durante l’orario di lavoro fa fede la sentenza della Corte di Cassazione n. 15892/2007, secondo la quale “la rilevazione, se non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall'ispettorato del lavoro, dei dati di entrata ed uscita dall'azienda mediante un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro per il vantaggio dei dipendenti (..) ma utilizzabile anche in funzione di controllo dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, si risolve in un controllo sull'orario di lavoro e in un accertamento sul "quantum" della prestazione, in contrasto all’art. 4, c.2 della legge n. 300\70”.

Ciò significa che, in Italia, un licenziamento avvenuto dopo un monitoraggio simile a quello messo in campo dalla WaterSaver sarebbe illegittimo, perché non vi alcuna legittimità nel monitoraggio dell’accesso ai servizi igienici dei dipendenti da parte dei datori di lavoro.

Il datore di lavoro può garantire la sicurezza dei propri dipendenti con strumenti di controllo a distanza, ma non può adottare modalità che siano lesive della dignità del lavoratore, come nei casi suddetti. Secondo una sentenza del Tribunale di Milano del 18 marzo 2006 sono legittimi controlli tesi ad accertare conditte illecite del lavoratore, come, per esempio, l’uso del telefono aziendale per motivi personali o l’accesso ad aule e stanze riservate. E i bagni, per ovvie ragioni, non sono luoghi riservati.

Per quanto riguarda i tempi di pausa, va aggiunto che tutti coloro che utilizzano videoterminali, in base alla L. 626/1994, hanno diritto a 15 minuti (retribuiti) di sosta da tale attività ogni 2 ore di lavoro: in questo tempo possono svolgere attività differenti che non prevedano l’utilizzo di questi strumenti.

Sia questa norma che quella relativa alle pause-bagno sono un diritto del lavoratore e ogni policy in contraddizione è da considerarsi contraria alle legge.