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"Pensione? Non lo so e non mi interessa". Trentatré anni e una vita da precario

Group of programmers developing new software on desktop PC's in the office. Focus is on man in the foreground. (Photo: skynesher via Getty Images)
Group of programmers developing new software on desktop PC's in the office. Focus is on man in the foreground. (Photo: skynesher via Getty Images)

“La pensione? Non mi sono mai posto il problema, tanto con quello che si sente in giro mi sono fatto questa idea: io non avrò una pensione. E comunque ora ho altro a cui pensare”. Una vita sui libri, ricerca all’estero nel campo della psicologia, ritorno in Italia e prosieguo degli studi, nel frattempo un lavoro-ponte per mantenersi e pagarsi le spese come insegnante di inglese, frutto dell’apprendimento della lingua durante i tre anni trascorsi fuori. Giovanni ha 33 anni, ne aveva 19 quando ha deciso di diventare psicologo. Single, vive da solo in affitto come tanti altri coetanei eppure il suo caso è un’istantanea del rapporto dei giovani di oggi, spesso definiti choosy o svogliati, con il grande tema della pensione. Quando il dibattito politico vira, come avviene periodicamente, sulla questione previdenziale, i grandi assenti sono sempre loro. Si discute di quota 100, quota 102, di uscita anticipata per le donne o per i lavori usuranti, ma mai nessuna forza politica si interessa davvero a come i giovani di oggi arriveranno tra qualche decennio alla pensione. L’idea di fondo è che sia un problema anche serio ma così lontano per cui non valga la pena investire capitale politico per risolverlo. Di certo non porterebbe più consensi a questo o a quel partito, perché i voti che contano sono quelli dei più anziani, quelli che in pensione possono andarci oggi o di qui a un paio d’anni.

″È vero, non mi sono mai informato, ma tanto cosa cambia?”, chiede Giovanni. Il suo obiettivo resta quello di diventare psicoterapeuta, ma gli studi di psicologia com’è noto sono lunghi, come Medicina, e “non si può pensare certo di continuare a pesare fino a quarant’anni sulle spalle dei genitori”, loro sì pensionati. I genitori lo hanno aiutato soprattutto all’inizio degli studi universitari, poi col dottorato all’estero si è mantenuto con la borsa di studio: “A ventisette anni, tra il 2015 e il 2018, ho vissuto e lavorato Oltremanica, e oggi posso dire che grazie all’assegno universitario percepito in quegli anni, ho versato gli unici contributi decenti della mia carriera”. Tornato in Italia e concluso qui il lavoro di ricerca, Giovanni si è ritrovato senza un reddito. Ma l’esperienza all’estero gli ha consentito di apprendere l’inglese a menadito. In assenza di alternative migliori, ha deciso di candidarsi come insegnante di lingua inglese in una scuola privata. Lavoro ottenuto subito, ma qui inizia un calvario burocratico e contrattuale che per tanti suoi coetanei rappresenta la triste normalità. “All’inizio mi è stato proposto un contratto di lavoro a prestazione occasionale. Lavoravo meno poi col tempo mi sono state affidate sempre più classi, diventando così parte integrante del corpo insegnanti della scuola”.

Per due anni ha quindi lavorato come occasionale, sebbene la scuola gli abbia affidato un numero sempre maggiore dei suoi studenti. “In teoria avrei dovuto lavorare a chiamata, ma in realtà ero inserito pienamente nell’organizzazione scolastica delle lezioni”. Per due anni è andato avanti così, tra il 2019 e il 2020, anche durante il Covid grazie alle lezioni online. Poi il salto, per così dire, di qualità: “Dopo due anni, il direttore della scuola ha deciso di cambiare il mio inquadramento. Ovviamente non l’ha fatto per ragioni filantropiche ma perché lavoravo tanto e gli sarebbe stato difficile giustificare la mia paga in caso di controlli dell’ispettorato del lavoro. Ormai ero arrivato a tenere ben tre corsi al giorno”. In questi due anni, Giovanni non ha versato un solo contributo, né gli sono stati versati dal datore di lavoro: “Ammetto di non sapere se li avessi dovuti versare per conto mio. Ma non è che guadagnassi tanto per cui ho semplicemente ignorato il problema”.

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Quindi all’inizio del 2021, ormai trentatreene, firma un nuovo contratto di collaborazione continuativa, un co.co.co per intendersi. “In teoria, al di là dell’aumento delle ore, non è cambiato nulla nel mio lavoro. Già all’inizio collaboravo in modo costante, ma poco importa”. Perché almeno ora ha un contratto, eppure al di là del pezzo di carta non è che sia cambiato tanto. “Il mio contratto prevede che lavori un tot ore tali da giustificare un reddito annuo di seimila euro. Ovviamente lavoro di più e ne guadagno di più, ma il restante mi viene pagato in contanti”. O, per dirla meglio, in nero. Con lo stipendio si paga l’affitto (“assorbe circa la metà del mio reddito”) e le spese varie che possono riguardare la vita di un giovane single. Quantomeno, rispetto ai due anni fa, ora gli vengono anche versati i contributi: “Una concessione? Non so, sicuramente un passo avanti, ma non un grande passo”, racconta Giovanni. “I contributi sono parametrati sullo stipendio che percepisco. Avendo un reddito ‘formale’ di seimila euro annui, non è che si tratti di chissà quale cifra”.

Piccolo inciso: la scuola dove lavora Giovanni, come tante altre, a giugno chiude per riaprire a settembre, e ovviamente i docenti a contratto continuativo nel periodo estivo non ricevono stipendio. Sono tre mesi senza reddito. Giovanni prende una delle ultime buste paga: “Ecco, la voce contributi dice che a marzo mi sono stati versati nemmeno 100 euro. Ho 33 anni, lavoro in modo più o meno saltuario da almeno sei anni, ma quello che sono riuscito a versare come contribuzione è ben poca cosa. Non è una condizione che io posso cambiare, perché dipende strettamente dal mondo del lavoro che oggi è quello che è. Per cui mi chiedo se valga la pena farmi il sangue amaro per una pensione che non so se vedrò, e che se vedrò forse preferirei non vedere. Me ne frego, poi si vedrà”.

Secondo un report di Randstad Research, in un’Italia che si avvia a essere sempre più anziana (nel 2060 l’età mediana sarà di 50 anni), sono circa 5,3 milioni i giovani inattivi, di cui il 42% al sud. Un arcipelago di ragazzi in cui vivono in gran parte gli studenti, ma pure i Neet (chi non studia e non lavora, circa 1,8 milioni di persone a cui si aggiungono 800mila disoccupati), e i “troppo occupati” con contratti precari o che lavorano poche ore alla settimana. Non va meglio per i meno giovani: secondo un report della Cgil di due anni fa, i quarantenni di oggi, specie quelli con lavori saltuari, poco remunerati o part-time, rischiano di non andare in pensione prima dei 73 anni. Nel 2035 per andare via a 69 anni, saranno necessari almeno 20 anni di contributi e una pensione di importo sopra gli attuali 687 euro. Per andare a 66 anni, sempre nel 2035 e sempre parlando dei ‘contributivi’ puri, serviranno 20 anni di anzianità e una pensione non inferiore ai 1.282 euro di oggi. Per la pensione anticipata invece occorreranno 44 o 45 anni di contribuzione (rispettivamente se donna o uomo).

Giovanni probabilmente non farà parte di coloro che potranno andare via prima dal lavoro, ma ora la sua attenzione è presa dalla sua condizione attuale, che spera sia solo momentanea. Perché nel frattempo, tra una lezione e l’altra, Giovanni continua il suo tirocinio in psicologia e tra un anno ha intenzione di iscriversi alla specializzazione in psicoterapia. “Dura altri quattro anni, ma dopo due si può iniziare già a lavorare come psicoterapeuta. Quando avrò terminato il corso di studi accetterò solo contratti decenti. Altrimenti, mi aprirò una partita Iva e proverò a lavorare come libero professionista. Se tutto andrà per il verso giusto e riuscirò a diventare psicoterapeuta, spero di vedere finalmente un reddito discreto, anche perché posso dire di aver passato la mia vita sui libri. Penso di meritarmelo. Ho fatto anche alcune pubblicazioni con revisione tra pari, non lo dico per vantarmi ma perché davvero quando sento parlare di giovani choosy mi cascano le braccia. Comunque i miei prossimi anni li impegnerò a stabilizzare la mia vita professionale. La pensione ora è l’ultimo dei miei pensieri”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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