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Per fermare la deforestazione in Brasile bisogna chiedere il permesso ai cinesi

La foresta amazzonica, dall'alto (MAURO PIMENTEL/AFP/Getty Images)
La foresta amazzonica, dall'alto (MAURO PIMENTEL/AFP/Getty Images)

Che la foresta amazzonica sia in pericolo non è una novità. Si tratta di un problema grave che riguarda tanto il Brasile quanto il mondo intero, visto che il polmone verde dell'America del Sud garantisce buona parte del nostro equilibrio ambientale.

Molti hanno affrontato l'arrivo di Bolsonaro in modo aggressivo, considerando che il nuovo Presidente ha più volte mostrato di non credere nella teoria del cambiamento climatico. Tuttavia, pur avendo aumentato il ritmo della deforestazione del 54% nei suoi primi mesi dall'elezione, non è l'unico Presidente del Brasile ad essersi macchiato di tale comportamento.

Infatti anche nei precedenti governi gli alti e bassi sul tema della foresta e sul suo sfruttamento sono stati abituali. Alcuni anni sono stati davvero pessimi, altri nella norma. La costante è il menefreghismo della politica rispetto a chi protesta, e questo ormai lo si può dare per scontato.

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Se però Bolsonaro non è il primo né l'ultimo presidente che distrugge l'Amazzonia, con chi bisognerebbe trattare per mettere fine o regolamentare questo andazzo?

La risposta risiede nel Ministero dell'Agricoltura brasiliano, un luogo politico nella quale le lobby sguazzano. In particolare gli ultimi atti del ministero riguardo la foresta sono indirizzati verso una minor protezione dell'ambiente e a una maggior liberalizzazione. A chi conviene? Alle finanze del Brasile e, soprattutto, ai commercianti cinesi.

La Cina ha un interesse notevole nel Brasile, da quando è diventato partner commerciale nel settore della soia. Tuttavia la soia non cresce sugli alberi, e dunque quando lo spazio di manovra si riduce, l'unico modo per crearlo è sbarazzarsi della foresta.

Ora il Brasile è diventato ancora più importante per la Cina: il motivo è da ricercarsi nei dazi e nelle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Già nel 2018 la Cina comprò 10 milioni di tonnellate di soia brasiliana: il numero è destinato a crescere per mantenere i rapporti commerciali. Il Brasile sta facendo di tutto per tenere botta, e non necessariamente con la deforestazione; in molti casi ha convertito pascoli e altre colture per avere più soia. E questo ovviamente sarà pagato più avanti, perché così facendo il Brasile si avvicina alla monocoltura e in futuro alla stagnazione agricola. La soia raccolta non è ovviamente tutta per uso umano: sono gli animali da allevamento, in particolare il pollame, ad averne 'bisogno'.

Se tu un giorno ti svegliassi con l'idea di fermare la deforestazione, sappi che la domanda va rivolta ai cinesi, e non a Bolsonaro o a chi arriverà dopo di lui.

Qualche buon segnale c'è già: i fondi economici norvegesi, grandi investitori, hanno smesso per ragioni etiche di versare denaro alle aziende coinvolte nella deforestazione (per la soia o per l'olio di palma). Sicuramente l'Europa, anche grazie alle ultime elezioni nelle quali i Verdi hanno ottenuto un buon consenso, ha maggiori probabilità di fare lobbying sul Brasile affinché differenzi il commercio per non dipendere solo dalla soia 'cinese'.

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