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Perché l'elezione del Quirinale sarà un gran casino. Spiegato con i numeri

Italian President of the Republic Sergio Mattarella and italian Prime Minister Mario Draghi at Quirinale palace for the Oath Ceremony of the Mario Draghi's government. Rome (Italy), February 13th 2021 (Photo by Roberto Monaldo/Pool/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Imagers) (Photo: Mondadori Portfolio via Getty Images)
Italian President of the Republic Sergio Mattarella and italian Prime Minister Mario Draghi at Quirinale palace for the Oath Ceremony of the Mario Draghi's government. Rome (Italy), February 13th 2021 (Photo by Roberto Monaldo/Pool/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Imagers) (Photo: Mondadori Portfolio via Getty Images)

Il ddl Zan come prove generali del Quirinale? C’è chi lo sospetta. E chi, come Pier Luigi Bersani, lo ha detto apertamente. C’è anche chi lo considera un esercizio di fantasia. Il day-after è comunque all’insegna del pallottoliere. Perché è vero che mancano tre mesi, ma è anche vero che tre mesi, per un appuntamento del genere, è come dire domani. La domanda è se la convergenza tra il centrodestra, i renziani – grandi accusati di tradimento – e magari qualche franco tiratore sia sufficiente ad eleggere un capo dello stato?

Per individuare il nuovo presidente della Repubblica si riuniscono in un unico collegio deputati, senatori e tre delegati per ogni regione (uno per la Val d’Aosta). In tutto 1009 teste. I cosiddetti grandi elettori. Come noto, nei primi tre scrutini serve una maggioranza dei 2/3. Dal quarto in poi basta la metà + 1. Cioè 505 grandi elettori per chiudere i giochi. Ad oggi, però, il pallottoliere parla chiaro. Nessuna coalizione è in grado di arrivarci da sola.

Una vecchia volpe come Quagliariello, oggi senatore tra le fila del gruppo Misto di Palazzo Madama, ci spiega: “In un parlamento così liquido è inutile parlare di coalizioni e numeri”. Effettivamente i numeri non ci sono. Il centrodestra – Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Coraggio Italia, Noi con l’Italia e altri parlamentari sparsi – raggiunge massimo quota 451. Ne mancano più di cinquanta. Ammesso che questo sia il reale disegno di Matteo Renzi – cioè eleggere il PdR con il centrodestra – i suoi 45 tra deputati e senatori non bastano. 451 + 45 = 496. Il che significa che lo schieramento non potrebbe permettersi defezioni. E in più servirebbe un’altra decina di voti. Ipotesi su cui pochi scommetterebbero. Un altro navigato come Gianfranco Rotondi di Forza Italia ci dice: “Sui voti di Renzi non possiamo contare”. Ma poi, per quale candidato? “Noi votiamo solo Berlusconi”.

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E allora torniamo al pallottoliere. E se Renzi votasse col centrosinistra? Uno schieramento che va dalla sinistra di Liberi e Uguali a Italia Viva, con dentro Pd e pentastellati. Più di 450 grandi elettori. Più o meno la maggioranza che reggeva il Conte bis. Però i delegati regionali di centrosinistra, che sono molti di meno di quelli delle regioni di centrodestra, non bastano. Il tutto, sempre considerando che si trovi una quadra politica. Ne mancano comunque una cinquantina. Come dice Quagliariello: “Quando entra in gioco il voto segreto, i partiti evaporano. Può succedere di tutto”.

Non c’è neanche bisogno di scomodare la ‘carica dei 101’ che affossarono la candidatura di Romano Prodi nel 2013, ma di episodi di franchi tiratori nella storia della Prima Repubblica ce ne sono davvero tanti. E proprio quello che è successo sul ddl Zan ci dice che nel segreto dell’urna i parlamentari non obbediscono come soldati alle indicazioni dei partiti: “Guardi che ieri – svela ad HuffPost il senatore dem Tommaso Cerno – i franchi tiratori erano più di 15. Oltre a quelli di centrosinistra, ne conosco un’altra quindicina, nel centrodestra, che hanno votato in modo ribelle rispetto al gruppo. Diciamo addio ai pallottolieri e alle coalizioni. Il metodo Zan, cioè presentare una candidatura di schieramento, non porta da nessuna parte”.

Già, i parlamentari e il rapporto con i loro partiti. “I leader di partito e i capigruppo non controllano pienamente le proprie truppe” aggiunge Andrea Cangini, di Forza Italia. “I franchi tiratori potrebbero colpire anche a febbraio. L’unica strada è quella di trovare nomi unitari. È meglio che Draghi e Mattarella restino lì dove sono. Uno a Palazzo Chigi, l’altro al Quirinale”.

C’è poco da fare. Gli unici due nomi in grado di coagulare uno schieramento ampio sono quelli dei due presidenti. Sempre lì si torna. Con annesse ipotesi, analisi, dietrologie sull’indisponibilità dell’uno – che potrebbe venir meno davanti ad una grande chiamata collettiva – e dell’altro, che ha il problema del governo nel senso che questo Parlamento non voterà mai un presidente che cinque minuti dopo lo scioglie.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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