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Perché le aziende non assumono

Il rapporto Unioncamere 2012 sembra confermare le peggiori previsioni per l'anno in corso e non dà troppe speranze per il prossimo. Per il 2012 è infatti data una riduzione media del PIL dell'1,5% con significative differenze territoriali, da cui emerge una maggiore sofferenza delle regioni meridionali, in cui la riduzione è stimata all'1,8%, e in particolare di Abruzzo, Basilicata e Molise, che vedrebbero una contrazione stimata addirittura al 2%.
È prevista una timida ripresa nel 2013, con un recupero a livello nazionale dello 0,8% ma con il Sud che raggiunge appena un +0,2% e il Nord-Est più avanti con +1,3%. Non va meglio sul fronte dei consumi, che scenderanno in media del 2,1% anche qui con una maggiore sofferenza delle regioni del Sud rispetto al Nord, né su quello della spesa per gli investimenti, il cui dato è di -3,8%. L'unico settore in cui viene registrato un aumento, comunque inferiore all'anno precedente, è quello delle esportazioni, il cui dato a livello nazionale è di un +2,8%, con gli estremi di +3,1% per il Nord-Est e +1,8% per il Mezzogiorno.

In questo quadro generale, anche le assunzioni sono previste in forte calo, con addirittura 130mila posti di lavoro in meno nell'anno in corso. A soffrire sono soprattutto le aziende con meno di 10 dipendenti che, da un lato sono più legate al mercato del consumo interno, e dall'altro sono più esposte e meno attrezzate a sopportare i crediti non riscossi o i pagamenti troppo dilazionati e che, oltretutto, vedono sempre più spesso negarsi il credito dalle banche. Il saldo negativo delle assunzioni per questo tipo di aziende è di 62mila unità.

Ma non è solo il calo dei consumi a mandare in crisi le piccole e medie imprese italiane, che non vengono esattamente aiutate da una politica fiscale sempre più stritolatrice e cieca, nonostante le continue promesse di misure per la crescita. Secondo uno studio di Confesercenti, infatti, per via delle ultime misure fiscali, un piccolo imprenditore che fattura 50mila euro all'anno e ha un locale di 100 mq si troverà a dover sopportare un aumento di spesa tra i 3.530 e i 5.180 euro, a seconda del luogo dove opera. Questo soprattutto a causa dell'aumento dell'IVA (costo che spesso viene assorbito dagli imprenditori stessi per non aumentare ulteriormente i prezzi dei beni e dei servizi in un momento in cui il calo dei consumi è così marcato), dell’aumento dei contributi sociali (450 euro nel 2012, 1.200 euro nel 2018), dell'Imu, della nuova tassa rifiuti e, per 500mila piccoli imprenditori (soprattutto artigiani ed esercenti commerciali), dei costi amministrativi conseguenti all’uscita dal regime dei minimi, che da quest'anno sarà applicabile solo a chi ha meno di 35 anni e alle startup.
A questo vanno aggiunti i costi del lavoro. Stando al rapporto della Fondazione studi Consulenti del lavoro, per garantire un netto di 1.236 euro a un lavoratore, un'azienda deve spendere 2.648,19 euro, ovvero il 114,22% in più.

Il quadro così delineato rende evidente quanto siano urgenti e necessarie delle misure in grado di ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie, per rilanciare l'economia e il mercato del lavoro.