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Perché scioperano i commercialisti?

Il dottore commercialista Guido Gazzola, che cura su Yahoo! Finanza la rubrica "Tasse, l'esperto risponde", ci spiega le motivazioni del primo sciopero dei commercialisti italiani. Che cosa sta succedendo nella categoria? E che cosa potrebbe cambiare per i cittadini? Vediamolo nel dettaglio:


I commercialisti sono sul piede di guerra e minacciano di fare il primo sciopero della loro categoria. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il cambio delle regole di accesso al registro dei revisori: in pratica per recepire una direttiva europea che ha l’obiettivo di istituire regole europee comuni per la revisione dei bilanci, in Italia si vuole imporre ai giovani praticanti commercialisti, per essere alla pari con i loro colleghi più anziani, ben due esami di Stato, uno per diventare dottore commercialista e un altro per diventare revisori legali, attualmente non previsti.
E’ scoppiato il putiferio, anche perché la pazienza era già stata messa a dura prova due mesi fa, quando centocinquantamila revisori erano stati costretti a re-iscriversi al registro con una complessa quanto inutile procedura, solo perché il ministero dell'Economia, assumendo il compito di vigilanza sui revisori dal ministero della Giustizia, invece di prendere i nominativi del vecchio registro e fargli cambiare casacca, ha preteso una nuova iscrizione a tutti quelli che erano già iscritti.

La vera causa scatenante dello sciopero quindi? Quella che esaspera ogni italiano: la burocrazia.Tutti ci siamo passati almeno una volta: devi fare una pratica e non sai a chi rivolgerti e quando finalmente si trova l’ufficio giusto non sai se è tutto a posto e se la pratica è andata a buon fine. E se cerchi di chiarirti le idee in molti casi ottieni risposte contradditorie. Se un cittadino italiano soffre a causa della burocrazia, i commercialisti che hanno costantemente a che fare col mostro generato dal diritto tributario sono prossimi allo sfinimento.Le norme stanno infatti diventando tendenzialmente incomprensibili anche per gli addetti ai lavori, perchè oltre ad essere scritte collegandosi una all’altra in maniera contorta e a volte contradditoria, spesso non consentono un’interpretazione univoca, nel qual caso occorre “auspicare” l’intervento dell’Agenzia delle Entrate che in una o più circolari tenta di sbrogliare la matassa.

Il lavoro ormai però non deve essere semplice neanche per la stessa Agenzia, visto che capita che l’agognata “ufficiale interpretazione” arrivi appena prima della scadenza dell’adempimento, quando addirittura non oltre.Il risultato è un continuo e schizofrenico rinvio dei termini, spesso all’ultimo momento, per palese impossibilità di rispettarli da parte della stessa Agenzia, delle softwarehouse che preparano i programmi informatici, e di conseguenza dei commercialisti, che si ritrovano a lavorare, e a far lavorare i propri dipendenti, a ferragosto o nelle vacanze di Natale.Va da sè che tutto il tempo perso per dichiarazioni e comunicazioni da inviare fatte e rifatte ovviamente comporta costi aggiuntivi, un “vuoto a perdere” potremmo definirlo dal momento che non viene rimborsato, vuoi perchè per l’amministrazione finanziaria tutto è dovuto, vuoi perchè non si può ribaltare sul cliente i costi per l’inefficienza del sistema e per i sempre più numerosi adempimenti richiesti, a fronte di un’attività economica, quella del lavoratore o imprenditore, che invece genera sempre meno ricavi per via della crisi economica.

Immaginate anche quale responsabilità, nei confronti sia del cliente, sia dell’amministrazione, derivi per il professionista dall’applicazione di norme caratterizzate da incertezza cronica.Val la pena sottolineare infatti che i commercialisti sono da un lato al servizio dei cittadini, che in fin dei conti sono i loro clienti, e dall’altro al servizio dell’amministrazione finanziaria, perché attraverso il loro lavoro viene definito il carico tributario dei soggetti economici, e in caso di controversie rappresentano gli intermediari privilegiati fra pubblica amministrazione e cittadino.Rinvii su rinvii, spesso non conosciuti dai cittadini ma che sono pane quotidiano dei commercialisti. Due esempi abbastanza illustri?

Il tanto famoso “spesometro”, rinviato in extremis al 31 gennaio 2014 e l’agognata cancellazione della seconda rata dell’Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli, che è stata rinviata per l’ennesima volta. Con la prima rata è andata bene, ma non così per l’aumento dell’Iva al 22%, che doveva essere annullato fino all’ultimo ma alla fine ci è capitato fra capo e collo. Per non parlare del balletto dell’imposta sui servizi comunali e sui rifiuti, dalla Tarsu alla Tares (ma non per tutti i comuni), fino alle future Trise (divisa a sua volta in Tari e Tasi) e forse Tuc. Se non c’è chiarezza neppure sul nome, figuriamoci sull’ammontare dei pagamenti! A distanza di meno di un mese, non sappiamo ancora che aliquote applicare per la seconda rata Imu (per gli immobili per cui non è stata abolita), poichè i comuni avranno tempo fino al 9 dicembre per comunicare le aliquote e la scadenza è il 16 dicembre. In assoluto spregio dello statuto del contribuente, troppe volte calpestato, ed in assoluta mancanza di rispetto per le categorie professionali che in una settimana devono calcolare, stampare e consegnare ai clienti gli importi. Anche i Caf hanno protestato, dichiarando la situazione insostenibile.Ci si chiede, con malcelata invidia, perché all’estero in alcuni paesi le tasse sulla casa sono calcolate direttamente dall’amministrazione finanziaria, a cui nel caso si possono chiedere chiarimenti, e pagate semplicemente spedendo un assegno in busta chiusa.Ci si chiede a chi giova l’inutile complicazione e la gigantesca quantità di tipologie di tasse, se non forse alla stessa evasione, giacchè è un’impresa titanica controllare tutto per ogni contribuente. Tanto più che è risaputo che moltissime tasse danno all’erario un gettito inferiore a quanto costa riscuoterle e controllarne il corretto versamento. Ed è altrettanto risaputo quanto sia difficile rendere esigibili alcune tasse, che sono un vero fallimento dal punto di vista della loro stessa gestione.Ci si chiede quale possa essere l’utilità di molti adempimenti, quale ad esempio lo stesso spesometro, che sia pur diverso, era conosciuto sotto il precedente nome di elenco clienti e fornitori: istituito all’inizio della storia dell’Iva, nel 1972, poi abolito per manifesta inutilità nel contrasto all’evasione fiscale nel 1994, con soddisfazione di tutti, riproposto nel 2006 dal decreto Visco Bersani quale caposaldo nella lotta all’evasione, riabolito nel 2008 e ora nuovamente reintrodotto.Ecco perché scioperano i commercialisti. Perché ritengono sia giunto il momento di chiedere un coinvolgimento nelle scelte delle istituzioni ed un reale confronto con l’amministrazione fiscale dello Stato, per poter offrire alla collettività la loro professionalità, la loro competenza ed la loro esperienza di professionisti che operano sul campo, favorendo scelte razionali e sensate che impattino sulla vita di tutti i cittadini, per contribuire attivamente ad un sistema più efficiente e alla fine più equo e più giusto.