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Perchè il petrolio condiziona ancora le borse?

La notizia è di qualche giorno: l'Iraq, insieme a Nigeria, Libia e Iran non vuole aderire alla politica di tagli prevista dal nuovo patto, ancora da firmare, che potrebbe essere ratificato il 30 novembre a Vienna. Eppure è oggi che il colpo più forte si fa sentire sui mercati zavorrando, nel caso dell'Italia, grandi nomi come Saipem (Londra: 0NWY.L - notizie) che intorno alle 14 registrava un passivo del 6% a causa di una doppia tegola rappresentata non solo da petrolio (il greggio inizia a scendere nuovamente sotto quota 50 dollari) ma anche dai conti dei primi nove mesi dell'anno in calo sui ricavi del 6,6% a 7,89 miliardi di euro mentre sullo sfondo avanza una perdita netta ia 1,93 miliardi dai precedenti 886 milioni.

Quello che ancora non si sa

Cominciamo da quanto già si sa. La litigiosità all'interno dell'Opec e la perdita di identità dell'Organizzazione, sono deterrenti per chiunque voglia vedere una sostenibilità dei tagli sul lungo periodo così come anche solo dell'accordo in linea di massima. Ancora di più adesso che l'Iraq è tornato in possesso di tutti i suoi più importanti pozzi petroliferi e l'Iran è tornato a pompare a livelli che non si ricordavano più dai tempi dell'inizio delle sanzioni arrivando a toccare quota 4 milioni di barili. C'è poi la Cina con il suo programma di rafforzamento delle scorte che sta facendo man bassa di tutto quanto è possibile reperire sul mercato, forte della liquidità a sua disposizione. In quest'ultimo caso, però, non si tratta di un fattore depressivo per le quotazioni ma, anzi, dell'unico sostegno che sembra esserci per il petrolio. E i numeri danno un'idea di quanto stia accadendo sul fronte cinese. Le intenzioni di Pechino sarebbero quelle di portare le scorte a 90 giorni di importazioni a circa 600 milioni di barili entro il 2020 partendo da un livello che, a gennaio, era di 200 milioni di barili. Questo porta a 100 milioni di barili la richiesta che ogni anno il Celeste Impero dovrà soddisfare per raggiungere il target.

Restano però altri possibili venti contrari e cioè le scorte settimanali di greggio Usa: le previsioni ma soprattutto gli scetticismi partono da un report dell’API (Stoccarda: 565969.SG - notizie) , l’American Petroleum Institute che prevede un aumento delle forniture di greggio di 4,8 milioni di barili questa settimana.

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Quello che si dovrebbe sapere

Resta aperta, poi, la questione di numeri ufficiali e di quelli delle singole nazioni. Di cosa si tratta? L'accordo di Algeri (quello su cui si sta lavorando e che dovrebbe essere ratificato a Vienna il 30 novembre) parte dall'assunto che la produzione dell'Opec debba rientrare entro un range tra i 32,5-33 milioni di barili al giorno, il che porterebbe a un taglio orientativo di 750 mila- 1,25 milioni di barili. Peccato che la cifra venga contestata dalle singole nazioni. Infatti la somma dei numeri della produzione nazionale mensile che i singoli componenti Opec hanno fornito ai vertici dell'organizzazione dovrebbe essere di gran lunga superiore al tetto stabilito, rendendo assolutamente sbagliato (e insostenibile) il conteggio, inficiando alla base la strategia di contenimento del crollo delle quotazioni. L'esempio più chiaro è quello che arriva dal Venezuela che vanta una produzione, secondo dati di Caracas, più alta di 245.000 barili al giorno, mentre l’Iran parla di 300.000 extra mentre per l'Iraq si arriva anche a 400.000 barili in più rispetto a quanto comunicato dall'Opec. Un altro aspetto di una serie di fratture interne che non rassicurano affatto sulla tenuta di un eventuale accordo. Sempre se si riuscirà a chiudere.

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