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Pericolo di recessione tecnica per le aziende made in Usa?

La stagione delle trimestrali Usa è ormai in fase avanzata e i primi risultati non hanno deluso (più di tanto) le attese. Ma il cammino è ancora lungo e stando alle previsioni di Charles Ma, Client Investment Strategist di Allianz Global Investors, il peggio potrebbe essere dietro l’angolo.

Le previsioni di Allianz (Hannover: ALVN.HA - notizie)

Secondo quanto elaborato dagli uffici statunitensi di Allianz potrebbe verificarsi, alla fine della stagione delle trimestrali una flessione degli utili che arriverebbe a sfiorare il 9% (8,9% per la precisione) decretando di fatto il quarto trimestre consecutivo in negativo. Una situazione molto particolare, soprattutto se si pensa che l’S&P500 è tornato nuovamente ai livelli dei massimi storici e in contemporanea non si sta assistendo a un incremento degli utili, un mix potenzialmente disastroso se portato alla lunga.

Altro elemento destabilizzante è la politica portata avanti dalle banche centrali: se da una parte, nello specifico lo specchio dell’occidente con Usa ed Europa, il quadro pare si stia stabilizzando, dall’altro lato e cioè quello del Giappone, si assiste invece a una continua delusione delle attese. Una delusione ancora più evidente se si considera che Tokyo ha messo in campo la strategia più profonda e radicale tra le tre banche centrali (Fed, Bce (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) e BoJ). Insomma un quadro che non permette facili entusiasmi e che se impedisce di parlare di recessione apertamente, sottolinea come tutto questo non avvenga solo ed esclusivamente per la presenza delle banche centrali.

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Diversa (Other OTC: DVSAF - notizie) , invece, la questione degli utili aziendali: legati anch’essi all’andamento dell’economia reale, risentiranno sicuramente del rallentamento in atto della crescita il che pone gli utili aziendali in una situazione fragile e precaria che potrebbe scivolare in tempesta facilmente.

Le prospettive in arrivo dagli Usa

Intanto dagli Usa si attendono lumi proprio dalla Fed con l’atteso intervento di Janet Yellen venerdì prossimo ad Harvard: sul tavolo la questione del rialzo dei tassi con il numero uno della Fed attualmente ancora impostata verso un atteggiamento da colomba, mentre James Bullard, numero uno della Fed di St. Louis, vota per un lento aumento così come anche John Williams, governatore della Fed di San Francisco, il quale va addirittura oltre e parla apertamente di due o tre rialzi per il 2016 dal momento che i segnali in arrivo dall’economia suggeriscono, secondo la sua interpretazione,, una serie di successi come il rafforzamento del settore del lavoro e l’avvio dell’inflazione verso un camino non lontano dal 2% di target fissato.

Dichiarazioni, queste ultime, già più conflittuali, se non altro per il calendario: due/tre rialzi in sei mesi sarebbero troppo concentrati e metterebbero a rischio l’equilibrio dei mercati, oltre al fronte delle economie emergenti. Senza contare che in questo caso, oltre tutto, si avrebbe a fine 2016 un punteggio tra l’1% e l’1,25%, troppo per una nazione che, sebbene in ripresa, non abbia dimostrato un andamento affidabile e costante e basi il suo mercato del lavoro su cifre ingannevoli come quella di lavoratori part time o occasionali che alimentano le statistiche degli occupati senza però tramutarsi in consumatori consapevoli e sereni. a dimostrazione di ciò anche il Pil Usa che nel primo trimestre ha segnato un +0,5% (a meno di una seconda lettura in pubblicazione venerdì che non cambi radicalmente la scena) zavorrato con ogni probabilità anche da una pesantezza del dollaro.

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