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Petrolio: accordo tra Russia e Libia. Intanto l'Arabia…

Con lo scoppio della crisi del petrolio, le grandi aziende sono state costrette a tagliare gli investimenti meno proficui, primo fra tutti quello su ricerca e nuove perforazioni, preferendo concentrarsi sull'ottimizzazione dei giacimenti già esistenti.

L'andamento del greggio

Questo ha portato al paradosso che, proprio nel momento in cui lo sfruttamento tecnologico del greggio ha visto una delle sue più grandi rivoluzioni con la scoperta dello shale oil (o per meglio dire con il suo utilizzo), l'interesse per la scoperta di nuovi giacimenti è scemato in maniera verticale. I numeri lo confermano: i dati IHS Markit (Stoccarda: A1139A - notizie) parlano di soli 174 nuovi giacimenti meno della metà della media che, nel 2013, arrivava a 400-500 nuove zone di perforazione. Le conseguenze, però, si avranno solo nei prossimi 10 anni quando la carenza sarà avvertita con un deficit che, in futuro, la Russia potrebbe riuscire facilmente a colmare. Infatti, Mosca, approfittando dell'appoggio che, con l'amministrazione Trump, potrebbe arrivare dagli Usa per l'eliminazione delle sanzioni internazionali, ha deciso di cambiare rotta e di allearsi con la Libia. Il gigante russo del petrolio Rosneft e l'ente petrolifero libico National Oil Corporation (Noc) hanno stipulato un accordo di cooperazione che permetterà alla Russia di investire nei pozzi di Tripoli. A riferirlo è l'agenzia Tass. Alla base dell'accordo la possibilità di valutare diverse possibili collaborazioni in una lunga serie di settori, compresa l'assistenza tecnica e l'arrivo degli investimenti delle maggiori società petrolifere internazionali.

Novità per Mosca

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La notizia arriva nella giornata in cui viene confermata anche un'altra vittoria di Mosca, quella di essere tornata sul podio dei produttori mondiali di petrolio, titolo tolto all'Arabia Saudita. In ballo ci sono produzioni che vanno da 10,49 milioni di barili al giorno per dicembre per la Russia ai 10,46 milioni di barili per l'Arabia Saudita.

Da parte sua proprio l'Arabia si trova a dover fare i conti con la questione Aramco. La più volte annunciata quotazione del bancomat di stato e cioè la società petrolifera nazionale, prima di sbarcare sul mercato deve riuscire a trovare una valutazione anche solo media. Mentre il governo della Penisola saudita sta mettendo in pratica i piani contenuti nel Saudi Vision 2030 ovvero il progetto creato per sganciare l'economia nazionale dalla dipendenza dal petrolio, gli analisti si stanno sforzando di capire quanto potrebbe valere l'azienda; un particolare difficile visto che ancora adesso Aramco è di fatto la cassa di Riad e la volontà di alleggerire quella percentuale pari all'85% che il Tesoro preleva dagli utili maturati, rimane ancora una proposta, fatta più che altro per rendere più appetibile l'IPO. Ma non è questa l'unica incognita: per valutare un'IPO servono dati e previsioni, per quanto ipotetiche, che abbracciano un arco di tempo specifico. Tra queste, ovviamente, il prezzo del petrolio in futuro, la media di barili estratti, la percentuale di tasse e aliquote. Ma, come detto, il governo saudita sta modificando tutti questi parametri anche in virtù dell'accordo in sede Opec che vede proprio sulle spalle della nazione araba, l'impegno più grande sul fronte dei tagli alla produzione.

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