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Petrolio, Biden sgancia le scorte insieme alla Cina per abbassare il prezzo

Una bomba sul prezzo del petrolio, è questo che indiscrezioni indicano abbia sganciato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sul rincaro degli energetici che rischia di mettere a repentaglio la ripresa economica a livello globale.

Secondo quanto riferito da più fonti, Biden ne avrebbe parlato anche con il leader cinese Xi Jinping o invitato a farlo attraverso vie diplomatiche e avrebbe invitato anche Giappone e Corea del Sud a fare lo stesso.

Stati Uniti e Cina sono i maggiori possessori di scorte di petrolio tra i membri non OPEC e non OPEC+, inoltre, va ricordato che durante i mesi in cui il prezzo dei futures sul greggio era in territorio negativo (nel 2020), la potenza asiatica ha fatto incetta di barili di petrolio.

C’è quindi molta potenza di fuoco reale che, se immessa sul mercato, potrebbe realmente mettere sotto pressione il prezzo del Brent e il prezzo del Wti.

Biden dichiara “guerra” all’OPEC+?

Quanto sta accadendo si può definire come una dichiarazione di guerra commerciale all’OPEC+, ovvero i paesi produttori di petrolio dell’OPEC con l’aggiunta degli attori esterni come la Russia.

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Ad inizio mese l’OPEC+ ha rifiutato di aumentare ulteriormente la produzione di petrolio oltre i 400 mila barili al giorno aggiuntivi programmati per i prossimi mesi.

L’OPEC+ aveva infatti stabilito un ritorno graduale all’offerta di greggio sui livelli pre-pandemia, affermando attraverso alcuni ministri (tra cui quello dell’energia russo) che nel terzo trimestre del 2021 si è verificato un calo nella domanda.

Anche l’Arabia Saudita ha affermato che il problema non è il petrolio e che bisogna invece guardare al gas naturale e alla situazione infrastrutturale di quest’ultimo e alla situazione in Europa e, aggiungiamo, anche in Asia.

La situazione degli energetici e del petrolio

La partita sugli energetici è molto complessa. Mentre pochi giorni fa l’Opec ha pubblicato la sua revisione mensile sull’Outlook del petrolio confermando un mercato forte e in ripresa che si consoliderà nel 2022 con un ritorno al periodo pre-pandemia, preoccupa la situazione del gas.

In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera dall’amministratore delegato di Eni, Descalzi, questi ha affermato che il gas naturale ha un problema strutturale legato alla riduzione degli investimenti a partire dal 2014, quando un eccesso di offerta costrinse ad un cambio dei piani di investimento a livello globale. A quell’evento si deve aggiungere negli anni più recenti la competizione nell’attrarre investimenti da parte delle rinnovabili, che riduce ulteriormente l’afflusso di investimenti nel gas.

Di conseguenza in Asia per produrre energia si è passati al petrolio e questo porta all’aumento del prezzo dell’oro nero, anche se in proporzione gli aumenti sono più contenuti rispetto al gas.

Da non sottovalutare la decisione delle autorità di regolamentazione tedesche che hanno bloccato la concessione delle autorizzazioni al Nord Stream 2 per una non conformità piena al diritto tedesco e comunitario europeo. Prima della prossima estate il gasdotto non entrerà in funzione.

Energetici e il ruolo nell’inflazione

Gli Stati Uniti hanno un problema serio che si chiama inflazione, la quale ha subito una impennata come non accadeva da una decade circa.

L’impennata degli energetici pesa in modo significativo sui prezzi dei beni in particolare e lo hanno dimostrato, in Italia, anche i dati sui prezzi al consumo (indice Nic) presentati pochi giorni fa dall’Istat, dove la componente energia spinge al rialzo l’inflazione in modo pesante come non accadeva dal 2012.

Se per gli investitori nel settore petrolifero l’azione di Biden, coordinata con la Cina, potrebbe risultare una cattiva notizia, per il resto del mercato potrebbe rappresentare un supporto contro lo spauracchio dell’inflazione. Un aumento eccessivo e prolungato di quest’ultima, infatti, farebbe intervenire le banche centrali prima del pronosticato.

This article was originally posted on FX Empire

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