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L'oro e il petrolio salgono, i mercati scendono

Dopo gli attentati in Spagna sale la tensione e, come prevedibile, anche l'acquisto sui beni rifugio.

La situazione

Poco prima delle 13.30 l'oro registrava una quotazione che sfiorava i 1300 dollari l'oncia (1.294 per la precisione), mentre il petrolio alla stessa ora vedeva il Wti a 47,17 dollari e il Brent poco sopra i 51 dollari al barile. Un trend che, come detto, trova giustificazione nel clima di paura. Ma non solo. Anche dagli Usa arrivano notizie che fanno crollare la fiducia degli investitori. Altro duro colpo per la fiducia che i mercati nutrono nell'agenda Trump: dopo le difficoltà emerse per la riforma sanitaria adesso arrivano anche quelle per l'attuazione del piano di investimenti in infrastrutture, le stesse che avevano entusiasmato gli investitori durante al campagna elettorale.

Il caos alla Casa Bianca

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Sarebbe questo, oltre alla tensione geopolitica derivante dagli attentati in Spagna (il caos di Barcellona ha contribuito a portare il Vix, l'indice della volatilità a salire del 30% sopra i 15 punti) ad aver causato il calo di Wall Street che ieri ha segnato la peggiore seduta degli ultimi 3 mesi con il Dow che ha ceduto l'1,24%, arrivando a quota 21.750,73, l'S&P 500 ha perso l'1,54%, fermandosi a 2.430,01 mentre il Nasdaq (Francoforte: 813516 - notizie) ha lasciato sul terreno l'1,94% chiudendo a 6.221,91. La radice di tutto si trova nelle fratture che si sono create all'indomani delle manifestazioni di Charlottesville e soprattutto nei ritardi e nelle tiepide condanne, del presidente Trump, un comportamento che ha portato alle dimissioni in massa dei CEO che lo stesso Trump aveva chiamato come consiglieri economici all'interno di due forum creati ad hoc per i possibili progetti di investimento e poi sciolti ieri dallo stesso repubblicano. Ma i problemi continuano all'interno dello stesso staff del presidente. Un esempio arriva dalle ultime dichiarazioni di Steve Bannon, lo stratega di Donald Trump, noto esponente dell'ala destra nazionalista che ha definito, sorprendentemente "un gruppo di pagliacci" i rappresentanti dei suprematisti bianchi a capo delle proteste dei giorni scorsi. Una strategia che sottolinea la paura dello stesso Bannon di essere la prossima vittma delle purghe presidenziali e la necessità di ritrovare concordia in una società multirazziale che difficilmente potrà avere fiducia in un capo dichiaratamente appoggiato dall'estremismo razzista. Tutto questo è sintomo di una diffidenza diffusa che ha portato il Wall Street Journal a profetizzare dimissioni di Trump a breve, addirittura in autunno, a causa proprio della mancanza di trasparenza e della continua confusione che ha creato tensione, oltre che confusione, negli uffici amministrativi i cui operatori sono letteralmente bloccati perchè ignari sul da farsi.

Dimissioni a breve?

A confermarlo è Tony Schwartz che attraverso Twitter (Francoforte: A1W6XZ - notizie) , social particolarmente caro a Trump, non ha esitato a prevedere una mossa clamorosa prima della fine dell'anno, dettata soprattutto dalla chiusura delle indagini del Russiagate portate avanti dal superprocuratore Robert Mueller. Anche gli americani se ne stanno accorgendo e la prova arriva da quel 36% di popolarità, minimo storico se si pensa che il tycoon ha ricoperto la carica da nemmeno 8 mesi. Come se tutto questo non bastasse è arrivata anche l'ultima tegola: lo stop della creazione di un consiglio per il piano infrastrutturale, quel piano da oltre 1000 miliardi che migliaia di voti portò all'allora sfidante di Hillary Clinton. Troppo forte il dissidio tra il mondo del lavoro, i vertici delle aziende e i rappresentanti dell'amministrazione Trump, a loro volta, come detto, in lotta tra loro. Com'è noto, infatti i Repubblicani sono storicamente contrari all'incremento della spesa pubblica e difficilmente avrebbero appoggiato l'agenda dei lavori, senza contare che dopo la debacle registrata sulla riforma sanitaria, i cui tagli avrebbero dovuto essere reindirizzati per finanziare le semplificazioni delle aliquote, il Congresso dovrà riuscire a far quadrare il cerchio della riforma fiscale prima della festa del Ringraziamento, scadenza altamente simbolica. Cosa significa questo? Che le tempistiche per vedere nero su bianco i vari progetti di intervento sulle infrastrutture della nazione dovranno essere nuovamente posticipate, forse a fine anno se non nella prima parte del 2018. Russiagate permettendo.

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