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Piazza Affari corre: focus su sterlina. La view degli analisti

La mattinata a Piazza Affari si è dipanata intorno ad un alone di forzato ottimismo, forse anche nutrito dalla situazione di contrasto sull’esito di quello che è a tutti gli effetti il market mover del momento ovvero il referendum del 23 giugno col quale Londra potrebbe sancire o meno la sua uscita dall’Europa.

Ma procediamo con ordine

Ed è proprio su Londra e nello specifico sulla sterlina, che si sono focalizzate le attenzioni dei trader. In Europa l’Italia oggi vanta il primato di maglia rosa con l’indice nostrano che veleggia intorno al 3% di vantaggio a 16.853 punti grazie al settore bancario, ormai croce e delizia del mercato italiano, e a quello finanziario. Anche il resto d’Europa è intonato verso un approccio positivo con il Dax di Francoforte a 1,22% e Parigi a 1,07%. Ma, come detto, è Londra ad essere osservata speciale a una settimana esatta dal referendum e all’indomani della tragica aggressione, poi rivelatasi mortale, alla deputata laburista Jo Cox, aggressione che ha provocato la sospensione della campagna referendaria. Il Ftse 100 poco dopo le 12 viaggiava a +1,2%

La view di IG (Londra: IGG.L - notizie)

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Gli esperti si stanno dividendo sul possibile esito e ancora di più sulle conseguenze che il voto avrà sull’economia dell’Inghilterra ma, ancora di più su quella dell’Europa. L’ultimo report in ordine di tempo è quello di IG ad opera dei market strategist Filippo Diodovich e Vincenzo Longo e secondo il quale lo scenario del Britin darebbe una mano ad alleviare le tensioni che da giorni gravano sui listini.Favorendo perciò un rialzo che potrebbe arrivare anche al 10-15%, risultato che sul Ftse 100 si tradurrebbe in un ritorno ai massimi di ottobre con 6.500 punti. Tutto questo, alla fine, permetterebbe alle piazze del Vecchio Continente di vedere il ritorno degli investitori internazionali spaventati dal referendum e che perciò da qualche tempo avevano abbandonato il fronte europeo.

Peggio sarebbe il concretizzarsi della tanto temuta Brexit. Dal 24 giugno in poi, giorno successivo alla chiusura delle urne, infatti, si avrebbe una ventata di forte pessimismo su tutti i mercati con possibili ribassi anche del 20%. A soffrire di più sarebbe il Ftse100 che in questo caso crollerebbe a 5.000 punti, i minimi da fine 2011.

E sempre per rimanere in territorio inglese, anche la sterlina sarebbe in difficoltà: per quanto già oggetto di una speculazione ribassista da gennaio, la divisa di Sua Maestà resta ancora nel limbo dell’indecisione: la Brexit porterebbe il GBP/USD verso i minimi del 2009, a 1,35, in caso contrario, il cable arriverebbe ai massimi da inizio anno, a 1,48. Faciel pensare all’euro come altro termometro della tensione sui mercati: il cambio EUR/GBP con il nulla di fatto e quindi il mantenimento dello status quo, registrerebbe uno 0,73 che invece diventerebbe 0,88 ovvero gli stessi valori massimi del 2013 con il divorzio di Londra dall’Unione.

Il report di S&P

Ma per quanto ci si prepari al terremoto (le stesse banche centrali hanno creato una serie di misure d’emergenza) secondo Standard & Poor’s l’Italia non dovrebbe essere traq le principali vittime in caso di Brexit. Nell’indice di vulnerabilità elaborato dall’agenzia di rating calcolando variabili come l’export, il settore finanziario, gli investimenti diretti e il pericolo della migrazione, l’Italia occupa il 19esimo posto con un risultati di rischio pari a 0,4 punti. Un risultato che vede i fattori più pericolosi nell’export verso il Regno Unito (che per l’Italia non arriva all’1,6% del Pil) e nel settore finanziario. Più grave la situazione della Germania che ha un export verso Londra che incide per il 2,8% del suo Prodotto Interno Lordo, un numero molto vicino al 2,7% della Spagna. Roma ha di che temere di più guardando al settore finanziario visto che lì si arriva a guardare al 13,2%, ben lontani, però, da 22,7% di Berlino e addirittura dal 45% (44,9% per la precisione) di Madrid. A tremare sono però per lo più Irlanda, che sconta la vicinanza anche fisica con Londra e la permeabilità degli spostamenti della popolazione: per Dublino il rischio copre il 10% del Pil sul fronte export

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