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Pmi Eurozona in crollo: Piazza Affari maglia nera d'Europa

In una mattinata che si era avviata già sotto l’ombra del segno meno, Piazza Affari riceve un ulteriore schiaffo dai dati dell'indice Pmi composito dell'Eurozona di settembre che è arrivato a 52,6 punti dai 52,9 di agosto, un risultato negativo che è reso ancora più pesante da quello riguardante la Germania dove la crescita del settore privato è ai minimi da quasi un anno e mezzo (16 mesi per la precisione) con numeri che sul Pmi composito di settembre arrivano a 52,7 da 53,3 di agosto.

La situazione sui mercati europei

Dopo la pubblicazione dei dati il mercato italiano ha registrato un peggioramento della flessione già presente in mattinata arrivando a registrare alle 13 un passivo pari a -1% seguita dal resto delle piazze europee con Dax a -0,26%, Ftse 100 a cavallo della parità con un negativo di -0,06% e il Cac 40 di Parigi a -0,46%.

Uno schiaffo vero e proprio alle speranze di ripresa del Vecchio Continente che invece denota un tasso di crescita ai livelli di 20 mesi fa, come hanno confermato anche da Markit (NasdaqGS: MRKT - notizie) , l’agenzia che si occupa dei rilevamenti. Non solo: la tanto agognata, e finora assente, ripresa oltre ad essere lenta e a volte anche in fase di retrocessione, si dimostra caratterizzata da una notevole fragilità che espone l’Eurozona a tutti i numerosi rischi provenienti da più fronti, sia interni che esterni.

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I numeri del Vecchio Continente

E i numeri sottolineati dagli analisti di Markit confermano lo scetticismo: crescita trimestrale che non raggiunge lo 0,3%, nuovi posti di lavoro ai minimi da 5 mesi, ottimismo delle aziende focalizzate sui servizi ai minimi da 21 mesi. Come se ciò non bastasse, Oliver Kolodseike, sempre del team di Markit sottolinea come i dati del Pmi sottolineino una crescita delle imprese tedesche che è la peggiore da 3 anni a questa parte. Quindi prima degli stimoli adottati dalla Bce (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) .

Ma la debolezza dell’Eurozona non è una novità. Da tempo, infatti, il Vecchio Continente deve combattere contro più di un vento contrario non solo sul fronte della crescita ma anche su quello della politica e dell’incertezza del voto in occasione delle varie consultazioni elettorali in vista nei prossimi mesi tra Germania, Francia, Olanda e, per questo autunno cn il Referendum italiano, giudicato da molti come la peggiore minaccia dopo quello inglese il cui risultato è sfociato in un inatteso divorzio di Londra dall’Unione Europea.

Europa: la policrisi e il nodoi bancario

Proprio ieri il presidente della Commissione Europea ha parlato di un’Europa che è davanti a una policrisi. Non ultima, inoltre, la pressione sul settore bancario sempre stressato dalla mancanza di redditività e da una rivoluzione su più fronti. A ricordarlo, questa volta, è stato Mario Draghi, governatore della Bce il quale, tra i tanti problemi che affliggono il settore, ieri ha voluto sottolineare quello dell’overbanking ovvero di una presenza troppo capillare sul territorio rappresentata da un eccesso di sportelli e di risorse (con innegabili zavorre alla voce costi), ma anche di istituti di credito, spesso troppo piccoli e che bisogna accorpare. Una strategia che permetterebbe l’ottimizzazione delle risorse ma anche la stabilizzazione di un mondo ancora eccessivamente frammentato. Un primo allarme a sua volta era stato lanciato, per l’Italia, dal Financial Times il quale aveva sottolineato come il Bel Paese abbia più banche che pizzerie.

Le critiche di Mario Draghi

Draghi, da parte sua, ha però insistito sui difetti presenti sui modelli di business: per quanto positivi siano stati i tagli e le operazioni di dismissioni e riduzione degli attivi, il colosso bancario a livello europeo rappresenta ancora una fetta troppo grande dei bilanci sia dei singoli stati che dell’intero continente.

E su questo gigante dai piedi d’argilla gravano ancora i costi, troppi, e di diversa natura come quelli per i contenziosi legali, multe per scandali vari, ristrutturazioni e accantonamenti che, alla fine del 2015 ha presentato un conto che, stando ai dati di R&S Mediobanca, sfiora i 37 miliardi di euro, il doppio rispetto all’anno scorso. E ancora, la stessa R&S Mediobanca registra oneri straordinari che per il quadriennio 2011-2014 sono arrivati a 123 miliardi di euro contro i 39,5 dei colleghi statunitensi, un paragone che ha applicato anche per i dati RoE, l’indice di redditività delle banche: 4,1% per quelle europee, 10% per quelle Usa.

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