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Primo appuntamento del 2017: si ritorna a parlare di Fed

Il 2017 è ormai una realtà effettiva e con il suo arrivo c'è anche l'attesa per le prossime mosse della Federal Reserve, mosse che, in questo frangente, appaiono leggermente più prevedibili rispetto a quanto accaduto finora.

Fed: 3 rialzi, ma anche no

Con l'arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca fra meno di 20 giorni e con l'approccio che la nuova politica avrà verso l'economia e soprattutto verso il costo del denaro e l'inflazione, è facile pensare che i prossimi rialzi della Banca Centrale statunitense potrebbero essere confermati per i prossimi12 mesi. Il primo dato che potrebbe già dare più di un'indicazione, arriva già questo mercoledì con la pubblicazione dei verbali della riunione di dicembre: da questo sarà possibile cappire la situazione interna al board che ha permesso poi di dare il via al secondo ritocco al rialzo del costo del biglietto verde nel giro di 12 mesi esatti. Risale infatti a dicembre 2015 la prima, storica decisione di aumentare dopo oltre 10 anni, un tasso di interesse ai minimi storici. In tutto questo, tra gli altri dati interessanti, ci sarà la pubblicazione, venerdì prossimo, del report sul lavoro e dal quale gli analisti si aspettano un generale rafforzamento, il che favorirebbe l'intero iter di normalizzazione a sua volta reso possibile anche da un miglioramento sul fronte del salario.

Ma proprio sull'inflazione si concentra l'analisi di HSBC secondo cui nella maggior parte dei mercati internazionali si potrebbe registrare un picco già dai primi mesi del 2017. Questo perché la Federal Reserve con le decisioni dell'ultima riunione di dicembre, rese note il 14, ha sorpreso i mercati con le sue previsioni sul numero dei rialzi dei tassi, un numero che è arrivato a 3 rispetto ai due interventi preventivati dalla comunità finanziaria per il 2017; in quell'occasione, infatti il FOMC ha alzato il range di riferimento sui tassi di interesse da 0,25-0,50% a 0,5-0,75% mentre quello sui fondi overnight è allo 0,41% mentre il tasso di sconto è passato dall’1% all'’1,25%.Nella stessa riunione la Fed ha inoltre previsto altri due o tre rialzi nel 2018 e tre nel 2019.

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L'analisi di HSBC

Ma il trend in salita, nel prossimo futuro sarà inevitabilmente condizionato anche da altri fattori: non solo dall'inflazione e dai salari, come sopra accennato ma anche dalla situazione internazionale. Questa, in estrema sintesi, l'analisi di James Pomeroy, global economist per HSBC.

“Ci troveremo in una situazione in cui il rafforzamento del dollaro porterà inevitabilmente danni al mercato emergente, un pericolo troppo forte che potrebbe vincolare le scelte della Fed”.

Essendo una delle più importanti realtà tra le banche centrali, se non la più importante, la Fed deve tener conto di una serie di fattori che potrebbero influenzare l'economia degli Stati Uniti. All'inizio dell'anno appena conclusosi si era previsto una serie di strette che poi non sono arrivate, complice anche la serie di eventi inattesi come ad esempio la crisi cinese di inizio anno, la Brexit o, non ultima, proprio l'elezione di Donald Trump negli Usa. Tutti eventi imprevisti in seguito ai quali la Fed ha dovuto essere cauta per possibili shock economici. Il 2017, pur non avendo in calendario eventi così drastici, non è da meno sull'orizzonte delle incertezze, in particolare quelle geopolitiche, senza contare che finora i mercati, soprattutto quelli a stelle e strisce, si sono mossi in un sentiero di ottimismo creatosi soprattutto per le attese di un'amministrazione Trump che, presumibilmente, dovrà tentare di riuscire a condurre in porto una politica di tagli alle tasse, investimenti per la spesa e una vasta deregolamentazione. Portare a termine tutte queste proposte con un Congresso che, paradossalmente, per quanto non totalmente ostile, comunque non sembra intenzionato ad assecondarlo a scatola chiusa, resta un punto interrogativo fin troppo grande. Come se ciò non bastasse è di primaria importanza considerare anche il panorama internazionale che comprende le altre banche centrali: in Europa la Bce pur diminuendo il suo QE nella portata, limando il numero degli acquisti di asset da 80 miliardi di euro a 60, lo ha allungato nella durata procrastinandolo di 9 mesi, ovvero fino ala fine del 2017, il tutto mentre la Banca del Giappone continua nella sua operazione ultraespansiva. Partendo da questa base è molto difficile che la Fed possa andare avanti per la strada che ha deciso di percorrere.

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