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La principale minaccia per l'economia mondiale secondo Rogers

Famoso per la sua lunga esperienza nel settore delle commodities, Jim Rogers ha spesso rivolto i suoi strali contro le politiche monetarie della banca centrale Usa accusata di aver dato vita a una serie di iniziative troppo pericolose.

La view di Rogers

Non ha perso occasione di ribadire la sua view nemmeno recentemente ai microfoni di Bloomgerg additando proprio le scelte fatte prima da Ben Bernanke e poi da Janet Yellen e definendole il peggior rischio per i mercati mondiali. Il leader ha messo in guardia gli investitori perché, secondo lui, i vertici dell'istituzione hanno commesso dei terribili errori nello stampare moneta in maniera incontrollata per circa dieci anni e abbassando ai minimi storici itassi di interesse. Una serie di strategie che a suo tempo vennero fatte per salvare l'economia mondiale dalla peggiore crisi della storia e che, sempre a suo tempo, furono considerate straordinarie e soprattutto temporanee: scopo principale era quello di ridare stimolo agli investimenti e rimettere in piedi i consumi e, con essi, la produttività. Purtroppo, però, l'evolversi della situazione ha contraddetto tutte le previsioni e ha costretto non solo la Fed stessa a prolungarle oltre i dovuto creando di fatto una nuova era e nuovi equilibri sui mercati, ma portando anche le altre banche ad adottare strategie simili. L'unico risultato ottenuto, alla fine, stando a quello dichiarato da Rogers, non è stato altro che quello di un debito, Usa ma anche mondiale, aumentato in maniera esponenziale e che adesso, complice l'amento del tasso di interesse, arriverà ad esplodere con tutta la gravità del caso. Per questo la minaccia di una crisi economica per Washington è ora più reale che mai, il tutto mentre il presidente Donald Trump dovrà affrontare "enormi difficoltà" per riuscire a mantenere le promesse fatte di una crescita del 3-4% annuo.

La conferma di Evans

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A sollevare dubbi simili sono arrivate anche le dichiarazioni di Charles Evans, presidente della Fed di Chicago e membro con diritto di voto del board della Fed secondo cui una crescita del 3 o 4 per cento come prospettata da Trump, potrebbe realizzarsi solo con una artecipazione al mondo del lavoro e soprattutto una produttività molto più sostenuta.Dal 1982 al 2007, ha continuato il banchiere, il trend di questi fattori è stato visto in progressiva decelerazione e l’attuale contesto demografico ed economico non è tale da far pensare a una ripresa. A preoccupare, soprattutto il calo della partecipazione alla forza lavoro con la fascia dei baby boomers ormai in gran parte in pensione e con un assottigliato numero di giovani che nn è sufficiente per dar vita ad un cambio generazionale. I numeri, infatti, denunciano la mancanza di lavoratori qualificati in fascia 25-30 anni.

Anche i dati macro non supportano l'ottimismo del presidente Usa: dal secondo trimestre del 2009, l'aumento del Pil Usa non va oltre una media del +2,1%.

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