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Privatizzazioni mancano 5 miliardi: difficili altre cessioni

Altro guaio in vista per il governo: adesso il problema (ennesimo) si chiama privatizzazioni.: le previsioni del governo si sono rivelate errate e lo schema delle privatizzazioni già elaborato, a questo punto è insufficiente.

Ciò che si sperava, non è accaduto

Sebbene i vertici dell'esecutivo sottolineino che la risposta del mercato al collocamento di Poste Italiane (Dusseldorf: 29884131.DU - notizie) ed Enav è stato positivo visto e considerato il clima generale, resta comunque un'incognita la possibilità di centrare i target previsti. Il programma di privatizzazioni di società partecipate e proprietà immobiliari prevedeva un apporto per lo stato pari allo 0,5% del Pil per i prossimi 3 anni e dello 0,3% nel 2019 mentre attualmente all'appello mancherebbero circa 5 miliardi di euro. La strategia della vendita sul mercato di alcuni grandi nomi puntava a raccogliere (ottimisticamente, a questo punto) 8 miliardi ma la matematica evidenzia come solo 3 sinora siano stati contabilizzati.

Troppo ottimismo?

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Troppo il gap che separa la realtà dalle previsioni ma soprattutto troppo stretto il margine di tempo che resta prima della chiusura dell'anno. Una sproporzione che si era accentuata anche per il rinvio della collocazione del 40% Ferrovie dello Stato; in questo caso si è trattato di una necessità dovuta a una volontà adottare un piano industriale che permetta la valorizzazione dell'investimento e, quindi, l'ottimizzazione delle entrate derivanti dalla vendita. Lo stesso dicasi per il potenziamento di aziende come Enel (Londra: 0NRE.L - notizie) che è in pista nella partita della fibra. Il che, per quanto interessante, resta però un vento contrario vista la mancanza di una valida alternativa che possa sopperire agli introiti entro la fine dell'anno.

Le privatizzazioni rientrano nella volontà (o per meglio dire nella necessità) di riuscire a riequilibrare il rapporto tra Pil (in calo) e debito (in aumento). Gli ultimi numeri, infatti, vedono il secondo, toccare nuovamente un record storico ormai sempre più vicino ai 2.250 miliardi: l'ultimo report parla di 2.248.8 miliardi di euro. Il tutto mentre, nel frattempo, il prodotto interno lordo, cioè a ricchezza prodotta dal Paese, non solo non riesce a tenere il passo delle previsioni già di per sé basse della maggior parte delle organizzazioni internazionali, ma scende al limite dello 0% rispetto al trimestre precedente mentre ha registrato un +0,7% sullo stesso periodo del 2015. Partendo proprio da questa sfavorevole coincidenza di fattori, la via di uscita per l'Italia, parrebbe essere quella di riuscire a sfruttare il più possibile la finestra di flessibilità offerta dall'Europa, ma a loro volta i vertici europei, presa coscienza della difficoltà di attuare il piano di dismissioni previsto nel Def, potrebbero non essere così generosi come si spera.

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