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Protezionismo: l'ignoranza di Krugman!

Una premessa è necessaria, da sempre io sono favorevole alla glocalizzazione, non ho mai amato questa globalizzazione sfrenata, selvaggia, non rispettosa degli usi e delle tradizioni di ogni signolo Paese.

Per chi non lo sapesse glocal, è un termine giapponese elaborato dal sociologo Bauman, recentemente scomparso, una maniera per adeguare la globalizzazione alle realtà locali, e non viceversa, un sistema di produzione e distribuzione elaborato in base alle leggi, usi e tradizioni locali, prodotti e servizi ideati per un mercato globale.

Come ha dicharato Flassbeck, il libero commercio può esistere solo in assenza di grossi deficit e surplus

Tutti coloro che deplorano il nuovo protezionismo americano senza condannare il mercantilismo tedesco dimostrano solamente di non aver capito il principio del libero commercio.

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C’è una via di mezzo tra il globalismo selvaggio in stile CETA o TTIP che i vostri parlamentari hanno votato, tra il globalismo selvaggio delle multinazionali e un necessario sano glocalismo che tiene conto degli usi e delle tradazioni locali.

Solo qualche volpe interessata può continuare a raccontarvi che il globalismo è stato uno strepitoso successo.

Non è una novità che anche il premio nobel Krugman sia molto aperto nei confronti del protezionismo, anche se quando, si parla di protezionismo sarebbe come applicare un vaste programme, mille sarebbero le variabili in gioco.

Secondo Krugman le politiche protezionistiche, pur alterando il linbero mercato, stimolano positivamente la produzione nazionale, meglio se supportata da interventi statali che ricadrebbero fiscalmente sui contribuenti nazinali, portando crescita economica e occupazione.

Ma addirittura dopo aver sputato veleno per mesi, ascoltare Krugman andare in soccorso di Trump, sul protezionismo fa sorridere. Nei giorni scorsi si è addirittura spinto a sostenere che non è vero che il protezionismo distrugge posti di lavoro, non è quello che dicono i manuali di economia, probabilmente perchè Krugman non conosce la storia, non ha mai letto la dinamica della Grande Depressione del ’29…

Quando sento persone dire: «Se introdurremo i dazi di Trump e abbracceremo il protezionismo si scatenerà un’altra depressione che distruggerà milioni e milioni di posti di lavoro», stanno dicendo una cosa che non è convalidata dall’analisi economica. L’argomento che il protezionismo distrugge posti di lavoro non è quello che dicono i manuali di economia (e io di manuali di economia ne ho scritti). Quello che dicono i manuali è che il protezionismo riduce l’efficienza e ci rende più poveri nel lungo periodo. Non dice che distruggerà tantissimi posti di lavoro. Eppure si vede un mucchio di gente, che queste cose dovrebbe saperle, che propaga analisi allarmistiche.

Moody’s ha pubblicato un’analisi sugli effetti della politica commerciale di Trump che è sconvolgente nella sua infondatezza. Non è che sia sbagliato il modello economico, è proprio che non è basata su nulla, su nessun modello che qualcuno possa utilizzare per qualunque cosa. Hanno semplicemente fabbricato una storia lì per lì per spaventare le persone contro gli effetti della politica commerciale.

Chiariamoci prima di arrivare alle conclusioni!

Trump ha vinto le elezioni promettendo protezionismo e rispetterà alla lettera la parola data agli elettori anche se tra il dire e il fare c’è di mezzo un Congresso, ma su questo non si discute, se non vi piace la parola protezionismo usate il glocalismo, ma oggi bisogna ripartire dal territorio, lavorare a favore del territorio con un occhio al commercio globale.

Ripeto l’argomento è complesso!

Dire invece come fa Krugman che il protezionismo ci rende poveri solo nel lungo periodo, parlare di analisi allarmistiche solo perchè la maggior parte di quei libri li ha scritti lui è dimostrare per l’ennesima volta che il cervello degli economisti vive nella loro personale biblioteca, passando il tempo a lustrare il proprio ego, dimenticando la storia.

Autore: Andrea Mazzalai Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online