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Chi può fermare i giganti del web?

I risultati dei giganti del web nel terzo trimestre del 2017 sono stati ottimi. E la crescita esponenziale dei loro fatturati non è una novità, ma un fattore strutturale da un decennio. Chi fermerà l’espansione di queste imprese con sede negli Usa?

Risultati invidiabili

I risultati dei giganti del web per il terzo trimestre del 2017 – da Google e Amazon a Twitter (Francoforte: A1W6XZ - notizie) , senza dimenticare la “vecchia” (si fa per dire) Microsoft (Euronext: MSF.NX - notizie) – sono stati davvero ottimi, e il fatto di avere superato le aspettative degli analisti ha spinto verso l’alto in maniera decisa le loro quotazioni di borsa. Intendiamoci: non tutti i settori in cui queste mega-società sono attive macinano utili e fatturati e c’è chi fa meglio di altri, ma il dato generale e sostanziale è di una crescita media dei fatturati e degli utili.

Partiamo da Google, che da qualche tempo si è ristrutturata nella società-madre Alphabet (Xetra: ABEA.DE - notizie) che controlla per l’appunto il motore di ricerca e altre “scommesse” (bets): i ricavi per il trimestre sono pari a 27,8 miliardi di dollari, cioè un solidissimo 24 per cento in più nel confronto con lo stesso periodo nell’anno precedente. Si tratta del risultato trimestrale migliore di sempre per la casa madre di Google, ma bisogna notare come sia il motore di ricerca, con i suoi introiti pubblicitari, a fornire la larghissima parte di fatturato e utili. L’unica scommessa che contribuisce in maniera più corposa al risultato di Alphabet (Swiss: GOOGL-USD.SW - notizie) è quella di Nest, cioè il sistema di automazione delle case che è l’avamposto nel settore dell’Internet delle cose (IoT).

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Dall’altro lato, il colosso delle vendite online Amazon ha diminuito fortemente il suo tasso di virtualizzazione quest’anno, acquistando per 13,7 miliardi di dollari la catena di supermercati di alta gamma Whole Foods. In questo modo ha aumentato in maniera altrettanto drastica il suo fatturato e la sua forza lavoro: il mercato borsistico sembra premiare queste scelte, visto l’aumento del 30 per cento delle sue quotazioni dall’inizio dell’anno. Il dato forse più paradossale di Amazon è che all’espansione esponenziale dei fatturati si associano profitti che in percentuale sono molto piccoli e che in larghissima parte dipendono non già dalle vendite online di prodotti, ma dalla vendita di spazi “cloud”, per l’archiviazione e gestione di dati (Cnbc).

Sotto questo profilo si osserva un curioso parallelo con Microsoft, che beneficia di solidi e fruttuosi fatturati nei suoi business tradizionali (da Windows a Xbox) ma nel contempo vede una crescita oltre le aspettative della parte cloud della sua offerta di servizi, principalmente in connessione con Office (Word, Excel e Powerpoint).

Il trend positivo include anche la più affaticata Twitter, che finalmente vede ridotta la sua perdita a 21 milioni, contro i 102 del terzo trimestre dello scorso anno. Con l’annuncio dei risultati trimestrali è stata comunicata anche una sovrastima degli utenti attivi negli anni precedenti, ma la borsa ha più che altro badato alla riduzione della perdita anno su anno e all’aumento degli utenti attivi per 4 milioni circa.

Quando si fermeranno?

Qual è la direzione futura che si intravede analizzando questa “ottobrata” di risultati positivi? Anche se è un trimestre eccellente, non è certamente un trimestre “eccezionale”, in quanto la crescita esponenziale dei fatturati dei giganti del web è un fattore strutturale che caratterizza l’economia globale nell’ultimo decennio e mostra la preminenza degli Usa in quanto sede di tutte queste imprese: in termini tecnici ci avviciniamo a una situazione di “monopoli multipli” con qualche elemento concorrenziale tra piattaforme (vendite, ricerche web, social network, software), dove lo spazio ritagliato dai colossi nell’economia dei computer e del web è sempre più ampio.

Quando si fermerà la loro espansione? “Quand’è che basta?” (come diceva Charlie Sheen nel film Wall Street). Non è facile tentare delle previsioni, ma – esattamente per il fatto che queste imprese hanno tutte sede negli Usa – non mi stupirei se nel giro di un decennio, forse anche prima, fosse l’Antitrust americano a intervenire nella forma di uno spezzettamento, sulla falsariga di quanto successe nel 1911 con la Standard Oil, monopolista nella produzione e distribuzione di petrolio. Dopotutto non sono forse i dati il petrolio di questo secolo?

Di Riccardo Puglisi

Autore: La Voce Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online