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Quando il guru si mostra apatico

Pare di vedere quelle pubblicità che raffigurano anziani che sembrano giovani, magari grazie all’assunzione regolare di complessi multivitaminici che fanno dimenticare gli acciacchi. Sarà merito della Fed, sta di fatto che il Toro di Wall Street, seppur “maturo” (diversamente giovane, si dice oggi), non sembra ancora risentire dei problemi del tempo.

Certo, i fondamentali sono tirati: i multipli di borsa non sono certo a sconto, in termini di rapporto fra quotazioni e utili, e fra quotazioni e valore di libro. Ma questo fattore, da solo, conta poco: definisce il contesto di fondo, ha scarsa efficacia in termini di tempistica di una inversione di tendenza, e abbisogna necessariamente di un catalizzatore per impattare negativamente sul mercato.

Catalizzatore che potrebbe essere un errore di politica monetaria – tassi di interesse alzati troppo velocemente – o un contesto di euforia dilagante.

Ecco, l’abbiamo presa un po’ larga, ma ci siamo: prima del top di ottobre 2007 il sentiment bullish era mediamente pari a 61% del totale. E qui ci mettiamo un po’ tutto: la positività dei piccoli investitori misurata dal sondaggio di AAII, quella degli analisti finanziari monitorati da Investors Intelligence, e infine quella dei CTA calcolata da Market Vane.

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Il massimo assoluto più recente risale a poco più di due mesi fa, e il sentiment bullish medio è ben inferiore al 50%; in una scala tipicamente compresa fra il 30 e il 60%. Insomma, se siamo in prossimità di un massimo assoluto, dove sono i Tori scatenati?

Un dato suggestivo, spesso trascurato, riguarda l’apatia degli strategist delle case di brokeraggio di Wall Street: i guru dalla cui bocca pendono gli investitori. Oggi per la verità un po’ meno: le Abby Cohen, gli Andrew Gairthwaite, i Tob Levkovich, i Thomas Lee sono molto meno osannati rispetto a dieci anni fa, ma con i loro pronunciamenti riescono ancora a costituire degli autentici market mover.

La piattaforma Bloomberg monitora la loro esposizione azionaria raccomandata, calcolando una equity allocation media che finisce per rappresentare un efficace indicatore di sentiment; da intendersi in senso contrarian, ovviamente…

L’ultimo dato si attesta praticamente al 50%. Esatto: in media, i guru di Wall Street suggeriscono di investire in borsa non più della metà del portafoglio. Molto? Poco?

Osserviamo il grafico: negli ultimi vent’anni l’esposizione mediamente raccomandata sfiora il 60%. È la classica allocazione 60-40, dentro cui si rifugiano gli strategist che non vogliono avere grane. Rispetto a questo dato medio gli estremi, posti a due deviazioni standard, si collocano al 72 e al 46 percento: sono questi i livelli che denotano rispettivamente euforia e pessimismo estremi. E non è un caso che nel primo caso eravamo alla vigilia di un bear market secolare, e nel secondo alla fine del medesimo.

Rispetto a questi livelli, l’attuale allocazione è decisamente cauta; più prossima ai minimi, che ai massimi. Ma come, siamo a fine ciclo bullish e gli strategist, solitamente euforici in circostanze simili – mica per niente lavorano per società sell side – risultano così abbottonati?

In attesa di risolvere lo strano caso della loro perdurante apatia, il Toro può continuare a scorrazzare allegro: apparentemente, soltanto un meteorite potrebbe contenerlo.

Autore: Gaetano Evangelista Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online