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Quanti soldi diamo all'Unione Europea e quanti ne riceviamo

Bandiera europea (AP)
Bandiera europea (AP)

Il dibattito sul ruolo dell’Italia nell’Unione Europea è stato centrale nell’ultima campagna elettorale. Da una parte i partiti critici verso l’organizzazione del governo continentale, ora al governo in Italia; dall’altra i partiti più europeisti – come Partito Democratico e Forza Italia (che fa parte del gruppo popolare europeo, molto influente a Bruxelles per via dell’alto numero di seggi): le due barricate sono ferme su argomenti contrapposti, tra chi dice che si versano troppi soldi all’Europa e chi invece mette l’unità continentale al primo posto nella scala degli interessi.

Quanti soldi l’Italia versa all’Unione Europea?

Nel 2016, ultimo anno per cui si hanno i dati ufficiali, l’Italia ha versato nelle casse di Bruxelles 13 miliardi e 400 milioni di euro. Nel 2015 erano stati 14,691 miliardi, nel 2014 14,594 miliardi e nel 2013 15,748 miliardi, che è di fatto la cifra record. Recentemente un parlamentare del Movimento 5 Stelle, Francesco D’Uva, aveva dichiarato che ogni anno l’Italia versa 20 miliardi e ne recupera solamente 10, ma è una stima eccessivamente arrotondata.

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Quanto riceve l’Italia dall’Unione Europea?

Nel 2016, sempre ultimo dato disponibile, i miliardi recuperati sono stati 11,592, nel 2015 12,338 miliardi, nel 2014 10,695 miliardi. Nel 2013, di nuovo anno record, erano stati portati a casa 12,554 miliardi di euro. Il saldo in media è attorno ai 2,8 miliardi in passivo, con un record di quasi 3,9 miliardi nel 2014. La cifra è molto lontana da quella ipotizzata dal deputato D’Uva, ma si comprende facilmente perché possa risultare insoddisfacente.

Perché l’Italia deve dare soldi all’Europa?

Tutti gli Stati dell’Unione europea sono tenuti a contribuire al bilancio comunitario in proporzione al proprio Reddito Nazionale Lordo (RNL), cioè il Pil aggiustato in base ai flussi di reddito tra Paesi. Attualmente l’Italia è il terzo Reddito nazionale lordo nell’Unione europea, dunque è anche il terzo contributore lordo – in quanto non ha alcun tipo di agevolazione. I contributi testé riportati sono la fonte di finanziamento principale dell’Ue, insieme ai dazi sulle frontiere esterne dell’Unione e al prelievo di una quota del gettito Iva per ogni Paese membro.

Come sono messi gli altri Stati?

Nel periodo 2014-2020, diversi Stati hanno ottenuto e avranno trattamenti speciali: la Danimarca, i Paesi Bassi e la Svezia beneficiano di riduzioni del proprio contributo annuo basato sul RNL pari, rispettivamente, a 130 milioni di euro, 695 milioni e 185 milioni. L’Austria beneficia di una riduzione del proprio contributo annuo basato sul RNL pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni nel 2015 e a 10 milioni nel 2016. La Germania, l’Olanda e la Svezia hanno ottenuto una riduzione del prelievo da parte dell’Unione europea sul gettito Iva per il periodo 2014-2020. Inoltre anche il Regno Unito, nonostante la Brexit, ha ricevuto agevolazioni negli scorsi anni. Dunque questo è il terreno sul quale i governi italiani vorrebbero andare più a fondo, in quanto il sistema attuale è più complesso rispetto al passato; tuttavia lo spazio di manovra può essere ridotto.

Che influenza può avere l’Italia sul saldo tra entrate e uscite?

Secondo la Corte dei Conti, il saldo attuale dipende anche dalla capacità dell’Italia di ottenere e spendere i fondi europei: “La dinamica degli accrediti dipende anche dalla capacità progettuale e gestionale degli operatori nazionali, e dall’andamento del ciclo di programmazione, e quindi il saldo netto negativo non è di per sé espressione di un ‘trattamento’ deteriore per l’Italia rispetto a quello di Paesi che si suppongono più avvantaggiati“. In sostanza, l’Italia deve dimostrare di saper far fruttare i soldi che riceve, in modo da ottenerne di più per proseguire con gli investimenti. E lavorare molto di diplomazia, ovviamente.

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