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Quirinale, il vero kingmaker è il caos

Getty images (Photo: Getty images)
Getty images (Photo: Getty images)

È chiaro che la domanda è una sola: quale e quando sarà il “piano b”. E se Silvio Berlusconi ripete che “non c’è, c’è solo un piano a”, è anche vero che, per la prima volta, ad Arcore, hanno registrato il dubbio “perché sente che, se cade in Aula, a quel punto gli sfugge di mano”. Forse anche perché le parole di Salvini alludono, neanche tanto implicitamente, proprio al “piano b”. In quel “la Lega farà una proposta convincente la prossima settimana” non è difficile vedere che l’attuale di proposta non è convincente. E a poco valgono le rassicurazioni affidate agli spin e al messaggio di una “lunga e cordiale telefonata” tra i due. Anche le creature sanno che la cordialità vera si pratica, non si ostenta, e si ostenta quando c’è sospetto.

Diciamola tutta: questa storia dei numeri, da verificare in un vertice giovedì, su cui tutti sono a lavoro, è una evidente ammuina. I numeri non ci sono, pallottoliere canta. Ammesso che riuscisse a fare il pieno, il Cavaliere è a quota 460. Ma è il segreto di pulcinella che non saranno mai tali: “Prendi Coraggio Italia – dice uno di loro – Toti, Quagliariello, Lupi sono sicuri, ma basta che ti giri attorno e almeno dieci non lo votano”. E lo stesso vale per gli altri. Né si respira l’aria di chissà quale mobilitazione – ambasciatori, incontri, sherpa, pontieri – attorno alla candidatura di Berlusconi: “È tutto molto casuale – racconta un partecipante all’ultimo vertice – non c’è una regia. Quelli del Pd provano a capire il piano b, e a loro volta hanno il loro, quelli del misto vogliono rassicurazioni sulla durata della legislatura, e così via”.

E qui c’è il primo intoppo, perché il mite Enrico Letta una zeppa l’ha messa. Si è capito che, con Berlusconi al Colle, si va dritti al voto, e dunque è venuta meno un’arma di persuasione sui parlamentari. Proprio quella usata dal Cavaliere per stoppare Draghi. “Se vuoi ti sosteniamo, ma i numeri…” è quel che dirà Salvini al vertice di giovedì, sperando in un passo indietro, come scelta autonoma, che non ha la forza di chiedere apertamente: “A noi arrivano segnali che sta lavorando in tal senso”, dicono ai piani alti del Nazareno. Per fare cosa però, non è dato saperlo, anche se in parecchi, oggi, hanno visto nell’incrocio tra le parole del leader della Lega e quelle di Renzi (“il centrodestra offra una rosa”) un’apertura sul nome di Casini o di Letizia Moratti.

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Ed è questa la sostanza del dubbio del Cavaliere: “Chi dà le carte se Berlusconi cade in Aula?”. I più colti argomentano pure che, noi perfidi cronisti, la stiamo facendo troppo facile con questo gioco a somma zero su Berlusconi: anche Fanfani, sei volte presidente del Consiglio, cinque volte presidente del Senato, due volte segretario della Dc, undici volte ministro, detto “il rieccolo” quattrocento e passa voti al Quirinale non li ha mai presi, e ci ha provato più di una volta, tra un incarico e l’altro. Perché Berlusconi non può essere, anche da sconfitto, colui che, rieccolo, fa il nome giusto? Il kingmaker, parola tra le più abusate in questo Quirinale 2022.

E ci risiamo, tra “un piano a” traballante e più “piani b” confliggenti. In cui sono tutti aspiranti kingmaker della quarta votazione, non riuscendoci alla prima, alla seconda e alla terza. Salvini che vuole giocare la carta di un altro nome di centrodestra, Gianni Letta aspetta tutti al varco per Draghi. È quello il momento in cui il calcio berlusconiano rischia quello che Giancarlo Giorgetti chiama “il contropiede”: “Lì – dice un colonnello salviniano - entrano in campo pure gli altri, cioè i due Letta, Gianni ed Enrico, Giancarlo, la pressione ambientale e può partire l’onda su Draghi”. E infatti Renzi lo ha capito, e chiede i nomi ora, perché il caos di un Parlamento imballato porta a Draghi, opinione piuttosto diffusa nel Palazzo. E il caos, di cui ci sono tutti i presupposti oggi, diventa, per default, il vero kingmaker per cui sembrano lavorare, a loro insaputa, gli aspiranti kingmaker dell’oggi.

Ma la rosa più viene chiesta più appassisce. Raccontano a corte che è ad esempio il petalo della Casellati, da quando girano certe voci, sfiorito agli occhi di Berlusconi. E pure Gianni Letta è marcato a vista: il sole, pur di far diventare tale la sua ombra, piuttosto indica il diavolo. La somiglianza del racconto con quel che accadde un anno fa è impressionante: la politica incapace di trovare una quadra sul governo, ma allora c’era un elemento demiurgico, il capo dello Stato. Qui la crisi investe la scelta del demiurgo.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.