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I redditi delle famiglie dividono l'Italia in due

Il reddito degli italiani varia sensibilmente da regione a regione. La notizia non è nuova, né, purtroppo, sorprendente, ma viene confermata dai dati pubblicati dall'ISTAT a proposito del reddito disponibile (quindi al netto delle tasse) per abitante, nel 2011 ma calcolato sulla base dei prezzi correnti. Questo, se a livello nazionale si attesta circa a 18.000 euro, registra una variazione molto marcata tra il Nord, dove è stato calcolato nella cifra di 20.800 euro, il Centro, dove è di poco inferiore, con 19.300 euro, e soprattutto il Sud, dove il valore calcolato è di 13.400 euro, ben il 25,5% in meno della media italiana nel suo complesso. La prima e l'ultima posizione della classifica a livello territoriale rispecchiano perfettamente questa spaccatura ponendo in testa la Provincia di Bolzano, con 22.800 euro, seguita da Valle d'Aosta (22.500 euro) ed Emilia-Romagna (21.600 euro), mentre in coda si trovano la Campania, con circa 12.500 euro, la Sicilia (13.000 euro) e la Calabria (13.200 euro).

Il trend, rispetto agli anni precedenti, ha il segno positivo, ma, va sottolineato, in misura minore rispetto all'inflazione, che nel 2011, secondo Eurostat, si è attestata al 2.9%. Nell'anno di riferimento, infatti, il reddito disponibile delle famiglie (calcolato sempre sulla base dei prezzi correnti) è cresciuto del 2,1% su base nazionale rispetto all'anno precedente, soprattutto grazie al Nord-Est (+2,7%) e al Nord-Ovest (+2,5%), mentre nel Centro e nel Mezzogiorno l'incremento è stato inferiore a quello della media nazionale, fermandosi rispettivamente a +1,5% e +1,6%. Le regioni con l'aumento maggiore sono state Emilia-Romagna (+3%) e Veneto (+2,8%).

Rispetto invece al 2008, quindi poco prima dell'esplosione della crisi degli ultimi anni, il reddito disponibile delle famiglie ha avuto una crescita molto più contenuta, dello 0,4% su base nazionale, con il maggior incremento registrato nel Nord-Est, con +1,2% (ma punte di +4,6% nella Provincia di Bolzano e +3,3% nel Veneto) mentre il Nord-Ovest, in quest'arco temporale, ha registrato addirittura un calo dello 0,5%, con la Liguria che ha manifestato la sofferenza maggiore per le famiglie. In questa regione, infatti, la riduzione del reddito disponibile è stata addirittura del 2,9%.

In un Paese in cui il reddito da lavoro dipendente continua a essere quello predominante, con percentuali che variano, da regione a regione, tra il 51% e il 67% nella composizione del reddito totale delle famiglie italiane, la questione della tassazione del lavoro continua a pesare molto sia sulla liquidità su cui possono contare le persone, sia, probabilmente, sulla mancanza di lavoro o sulla piaga, sempre diffusa, del lavoro nero. L'Italia è infatti in vetta alle classifiche europee su questo punto, con un peso delle tasse sul costo del lavoro che nel 2010 è stato misurato dall'Eurostat al 42,3% contro una media europea del 34%. Un minore divario tra il compenso lordo e quello netto percepito dai lavoratori porterebbe nelle tasche delle famiglie delle risorse maggiori e un costo del lavoro inferiore spingerebbe probabilmente le imprese ad assumere di più (e potrebbe ridurre, anche se forse in maniera non troppo incisiva, il ricorso al sommerso). D'altronde, lo stesso ministro Fornero aveva riconosciuto pubblicamente questo problema, impegnandosi a ridurlo. Il problema però è sempre trovare una compensazione alla riduzione del gettito fiscale, quindi decidere dove reperire le risorse, dove, eventualmente, tagliare e su cosa spostare gli investimenti. Insomma, fare delle scelte politiche che presuppongano una visione ampia e di lungo periodo, cosa che appare sempre più difficile in Italia. Non resta che aspettare la fine di questa campagna elettorale decisamente poco interessante e concreta e vedere quale governo (e quale futuro) uscirà dalle urne.